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PRESS/Tletter n.32-33/2011

14 Mag 2011

CRONACHE E STORIA-APRILE 1961

 

Scriveva Giulio Carlo Argan sull’”Avanti” il 23  novembre del 1960: nel “De Stijl” per la prima volta si affermava con chiarezza teorica il principio che l’arte, sebbene necessariamente si attui nell’opera di individui, è il prodotto di interessi collettivi, anzi è attività tipicamente sociale, attraverso la quale la società prende coscienza delle proprie possibilità creative e, attuandole continuamente progredisce e si rinnova.

E si intende che l’arte, come espressione della creatività della società e della sua volontà di costruire il proprio mondo storico, implica nella società una condizione di libertà: dai pregiudizi e dai privilegi di classe, ma anche dalle convenzioni e dai dogmi…………….

Il principio spaziale, che è poi quello del quale l’uomo si avvale quando costruisce le cose che formano l’ambiente della propria esistenza, è sempre la deduzione ragionata dall’esperienza: vedere il mondo secondo la ragione è, infatti, la prima condizione per organizzare secondo ragione la vita.

Se io mi propongo di vivere secondo ragione, non mi condanno a ripetere lo stesso atto, ma mi impegno a informare tutti gli atti della mia esistenza a un principio di ragione: né posso ammettere che vivere secondo ragione distrugga o diminuisca il senso e il valore della mia esistenza.

Le architetture di Oud o di Rietveld non mirano a uniformare l’esperienza a uno schema, ma mirano a dimostrare come ogni esperienza della vita sia riducibile alla ragione e come dalla vicenda individuale, sia pure carica di emozione e di dolore, sia possibile dedurre un valore, positivamente utile per la costruzione del mondo, che è l’opera collettiva della società.

Il messaggio che ne scaturisce è ancora molto attuale e vivo.

Ci sono concetti per cui il tempo non passa mai; è sorprendente rileggerli dopo cinquanta anni e scoprire che non perdono la loro modernità.

Oggi, cinquanta anni dopo, il MAXXI inaugura una mostra sull’universo di Rietveld; questa, paradossalmente, è la prima retrospettiva monografica dedicata in Italia all’Architetto, Artigiano, Falegname e Progettista d’interni Olandese.

Della serie non è mai troppo tardi………………….

Nel mese di aprile è presentato l’acquario-rettilario costruito a Torino dall’architetto Enzo Venturelli.

Le opere dell’architetto, e specificatamente la casa per lo scultore Mastroianni, erano già state recensite e stroncate in un precedente fascicolo della rivista “L’Architettura”; si contestava all’architetto la mancata corrispondenza tra l’impianto architettonico, spesso semplice e usuale, e l’informe contraddittorietà degli involucri.

La rivista, come suo costume, guardava con simpatia sempre gli atti anarchici e violenti che cercavano di elevarsi rispetto allo stagnante e conformista mondo architettonico, ma nell’opera del Venturelli non ritrovava quella protesta interiore capace di generare, dopo un travaglio autentico, una radice profonda di modernità.

Nonostante questo, la rivista continuò a monitorare l’opera dell’architetto e rivide in parte il giudizio pubblicando una nuova opera nel fascicolo di aprile.

Questo particolare ci permette, se ce ne fosse bisogno, di rilevare l’assoluta buona fede della rivista capace di tornare sui propri passi e rimettersi in discussione per correggere i giudizi espressi.

D’altronde il cambiamento d’idee è da sempre considerato un lusso che si può concedere solo alle persone intelligenti e non ai voltagabbana che cambiano opinione solo per un personale tornaconto……….

Attraverso la ricerca dell’architetto Venturelli c’era la volontà di collocarsi al di fuori dei rigidi schematismi, già presenti nelle opere del primo decennio, mirando allo sviluppo di una ricerca tesa a una forma di architettura fortemente individuale, quella che chiamerà "architettura dell'era nucleare" o "architettura atomica".

Con l'acquario-rettilario del giardino zoologico Venturelli rende concreti i propri concetti spaziali delle dinamiche volumetriche, del gioco plastico e dell’asimmetria dinamica fondata "su una visione artistico-idealista dell'architettura" che, con superficialità, da alcuni fu definita visionaria e stravagante.

Purtroppo molta della ricerca di Venturelli non ha potuto concretizzarsi in opere ed è rimasta all'interno dei suoi progetti. Il patrimonio di "architettura disegnata" che ci ha lasciato costituisce comunque una fondamentale testimonianza delle grandi potenzialità della fantasia.

In via dei Fiorentini è stata progettata una costruzione e non costruito un progetto.

Se, nel 1961, decidevi di abbonarti alla più importante rivista inglese di architettura.

”The Architectural Review” spendevi, per l’abbonamento annuale, 6.940 lire…………………..

…………………..pardon 3,58 euro.

 

CRONACHE E STORIA-MAGGIO 1961

 

“Oggi la forma dell’oggetto edilizio deve essere concepita in funzione dei seguenti fattori: dell’industrializzazione (normalizzazione, modulazione, ripetizione), dell’avvento di materiali nuovi, della “socializzazione degli spazi“ e della simultaneità dei bisogni umani (habitat e i suoi prolungamenti: lavoro, tempo libero e circolazione).

Solo tenendo simultaneamente conto, nella creazione delle forme edilizie, di questi parametri, le forme stesse svolgeranno, per le masse e implicitamente per gli individui, l’azione educativa e di valorizzazione umana che è loro”.

Così presentava la costruzione della Tour Viollet ad Angers l’architetto Ionel Schein.

L’esterno dell’edificio esprimeva l’intenzione dell’architetto di sottrarsi a ogni artificioso e gratuito formalismo secondo il credo che sanciva l’affermazione sull’esibizione.

All’interno, invece, il grado di industrializzazione e di precisione tecnica era spinto verso una perfezione tale da far sembrare antiche le nostre case.

Questo edificio fu, negli anni ‘60, un fulgido esempio di come si doveva operare per evitare di cadere in “revivals” di opere impresentabili; rappresentò il manifesto culturale con cui l’architetto sintetizzò le proprie intenzioni progettuali: si doveva progettare in modo integrale, programmare in modo sociale e costruire in modo industriale.

Ionel Schein aveva capito che l’architettura era un vero e proprio atto sociale: l’individuo e le famiglie, vivendo, erano condizionati concretamente dagli “accadimenti edilizi”; allo stesso tempo, egli aveva capito, che era la politica che dettava i tempi all’architettura attraverso i programmi, i contenuti sociali e il meccanismo del finanziamento e della pianificazione.

Compiere un atto di architettura, non tenendo conto o dell’uno o dell’altro significava cadere automaticamente nell’errore contribuendo allo sfacelo estetico e politico.

Non bastava finanziare e pianificare in modo pulito e corretto, per la buona riuscita dell’atto costruttivo era necessario l’intervento della figura dell’architetto che, attraverso la forma, la tecnica e la funzione, riusciva a complementare il lavoro della politica.

Compiere un atto di architettura senza la politica è in sostanza impossibile, farlo compiere dalla politica è un suicidio……..ma è quello che avviene sempre……………

Negli anni ’60 l’Architetto Arne Jacobsen costruì a Copenhagen l’hotel Royal-Air Terminal della S.A.S.; si trattò del primo albergo di lusso internazionale ad apparire sulla scena europea molti ne seguiranno dopo, alcuni più grandi, altri più perfezionati, ma questo saprà negli anni mantenere un proprio fascino.

Nell’orizzontalità di Copenhagen la costruzione di questo edificio rappresentò un autentico evento;

l’eccezionale mole di alluminio e cristallo, seppur ricordando le proporzioni della “Lever House”, costruita nel 1952 sulla quinta strada di New York da Gordon Bunshaft di Skidmore, Owings and Merrill, si stagliava maestosa nel piatto skyline cittadino.

I detrattori malignarono non poco sulla scarsa originalità del volume esterno; nulla poterono dire sull’interno: tutto fu studiato ed eseguito con una perfezione sorprendente.

Con una riconosciuta bravura artigianale che rese celebri alcuni designer danesi, il SAS fu realizzato nel momento di passaggio dal mondo artigianale a quello industriale e si volle approfittare di questo progetto architettonico per lanciare le prime serie di oggetti, mobili e tessuti prodotti in serie da Jacobsen per l’occasione. 

Dopo la famosa sedia a tre gambe che, prodotta dalla ditta Fritz Hansen, conquistò brevemente tutto il mondo, furono lanciate nel SAS la poltrona Swan e la Egg; in tanti proveranno per decenni a copiarle variandone un poco le proporzioni ma mai nessuno riuscirà a costruire un modello perfetto come questi prototipi.

Sicuramente ad essere cattivi potremmo affermare che Jacobsen non seppe “inventare” un grattacielo nuovo ma non vi è nessun dubbio che fu capace di disegnarne uno fino all’ultimo pezzo.

Oggi l’albergo è stato completamente rifatto, aggiornato secondo le nuove leggi e secondo le nuove aspettative del turismo di massa.

Il suo nuovo nome è Radisson Blue Royal Hotel, tutte le stanze sono state rimodulate e se da un lato, nel rimettere mano ad un capolavoro, si è persa quell’originalità iniziale dall’altro si è salvaguardata la continuità tipologica dell’edificio.

Come dicevamo le stanze sono state tutte rifatte tranne una: la Room 606.

Questo è l’unico ambiente dell’albergo rimasto nello stato originario, una sorta di “capsula del tempo” con manufatti in legno di squisita fattura, mobili, tessuti e combinazioni cromatiche.

Una stanza in cui il tempo si è fermato.

La stanza più visitata dell’albergo.

Se, nel 1961, decidevi di comprare un frigorifero Zoppas da 220 litri pagavi la somma di 109.000 lire (con un sovrapprezzo di lire 3.000 per lo sbrinatore automatico)………………….…………………..

…………………….pardon 56,29 euro + 1,54 euro per lo sbrinatore.

 

 

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gli architetti Germano Franciosi (1976)
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