Il padiglione temporaneo Sonsbeek, costruito nel 1966 ad Arnheim, dall'architetto Aldo Van Eyck è il tema di questa cronaca.
Nello stesso posto dove dodici anni prima Rietveld aveva risolto lo stesso tema in modo estremamente lirico contando sul magnifico giardino, Van Eyck realizza un progetto che partendo da configurazioni geometriche definite, arriva, attraverso un metodo sottrattivo di materia, a raggiungere la più complessa semplicità.
Con questo progetto, l’architetto confermò la validità della sua personale ricerca basata sulla composizione e sul montaggio di forme primordiali, usando la geometria come principio analitico e organizzativo degli spazi e dei luoghi del vivere. Come per altri progetti anche per questo padiglione fu capace di produrre un numero così elevato di soluzioni differenti da far sembrare la passione per il processo delle rappresentazioni grafiche come una magnifica ossessione.
Il padiglione era costituito da sei pareti alte quattro metri che disposte parallelamente a una distanza di 2,5 metri, si piegavano a formare spazi circolari che, uniti agli improvvisi tagli, trasformavano un semplice schema in un dispositivo spaziale complesso.
La luce diffusa, proveniente dal tetto completamente trasparente, illuminava in tutte le parti le sculture evitando di colpirle solo da lati definiti.
I viaggi in America e in Africa alla ricerca di archetipi formali, di cui fu un raffinato cacciatore, unita all’abilità nella pratica del disegno contribuirono alla cristallizzazione del proprio linguaggio architettonico. Linguaggio che rispecchiava la complessità della vita urbana con progetti capaci di riconciliare l'architettura con l’arte, la scienza e l'antropologia.
I suoi progetti, lungi dall’essere convenzionalmente belli, erano però strutture complesse che rappresentavano la sua convinzione fondamentale che “ una casa deve essere come una piccola città se è una vera casa; una città come una grande casa se è una vera città”.