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GENNAIO 1968

22 Mar 2018
La rivista torna ad occuparsi dell’architetto John Mac Lane Johansen attraverso la presentazione di una sua nuova opera: la biblioteca pubblica di Orlando in Florida.
Questo mi permette di tornare con piacere su quest’architetto, non troppo valorizzato dalla storia ma capace di realizzare, nell’arco della sua vita, numerosi capolavori.
La sua architettura si basò su quei principi, che Johansen chiamava “i tre imperativi”: quello tecnologico, quello organico e quello psico-sociologico.
Il primo presupposto era il fondamento del costruire; in ogni epoca, in ogni periodo della storia e in ogni momento la tecnologia è stata esibita dai potenti della terra con orgoglio divenendo “l’eredità del genere umano.
Il secondo presupposto è l’imperativo organico; noi facciamo parte della natura e quindi ciò, che produciamo in quanto estensione di noi stessi, ne fa parte. In “natura ogni cosa è interconnessa con le altre e ogni cosa ha una destinazione perché la natura è saggia e non ha nulla di gratutio”.
Il terzo presupposto è l’imperativo psico-sociologico che riguarda la collettività; ogni essere umano vive come l’uomo antico, usando leggende e modi tramandati nel tempo, usando però simboli e immagini moderne; “recitiamo in nuovi teatri i nostri antichi riti”.
L’interconnessione di questi tre imperativi furono la base su cui declinò tutta la sua produzione architettonica, che partendo dallo “spayform” e passando per la Labyrinth house e il Mummers Theater terminò con le ricerche sulle nano architetture.
Citando le parole di Marshal Berman, Johansen dimostrò il suo credo: “Essere moderni vuol dire trovarsi in un ambiente che promette avventura, potere, gioia, crescita e mutamento. La modernità unisce gli uomini e li immerge nel vortice del perpetuo disgregarsi e rinnovarsi. Essere moderno significa riconoscere l’entropia, rifiutare come ideale la stabilità che è una forma di morte lenta, e accettare il mutamento come fonte di gioia pura”.
Architetto Arcangelo DI CESARE

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