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2018

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Giovedì, 25 Gennaio 2018 15:11

NOVEMBRE 1967

Il padiglione temporaneo Sonsbeek, costruito nel 1966 ad Arnheim, dall'architetto Aldo Van Eyck è il tema di questa cronaca.
Nello stesso posto dove dodici anni prima Rietveld aveva risolto lo stesso tema in modo estremamente lirico contando sul magnifico giardino, Van Eyck realizza un progetto che partendo da configurazioni geometriche definite, arriva, attraverso un metodo sottrattivo di materia, a raggiungere la più complessa semplicità.
Con questo progetto, l’architetto confermò la validità della sua personale ricerca basata sulla composizione e sul montaggio di forme primordiali, usando la geometria come principio analitico e organizzativo degli spazi e dei luoghi del vivere. Come per altri progetti anche per questo padiglione fu capace di produrre un numero così elevato di soluzioni differenti da far sembrare la passione per il processo delle rappresentazioni grafiche come una magnifica ossessione.
Il padiglione era costituito da sei pareti alte quattro metri che disposte parallelamente a una distanza di 2,5 metri, si piegavano a formare spazi circolari che, uniti agli improvvisi tagli, trasformavano un semplice schema in un dispositivo spaziale complesso.
La luce diffusa, proveniente dal tetto completamente trasparente, illuminava in tutte le parti le sculture evitando di colpirle solo da lati definiti.
I viaggi in America e in Africa alla ricerca di archetipi formali, di cui fu un raffinato cacciatore, unita all’abilità nella pratica del disegno contribuirono alla cristallizzazione del proprio linguaggio architettonico. Linguaggio che rispecchiava la complessità della vita urbana con progetti capaci di riconciliare l'architettura con l’arte, la scienza e l'antropologia.
I suoi progetti, lungi dall’essere convenzionalmente belli, erano però strutture complesse che rappresentavano la sua convinzione fondamentale che “ una casa deve essere come una piccola città se è una vera casa; una città come una grande casa se è una vera città”.
Pubblicato in XXL CHRONICLES
Giovedì, 25 Gennaio 2018 15:03

FLP-56

CODE: FLP-56 

Pubblicato in XXL FLIPPER
Venerdì, 19 Gennaio 2018 12:08

OTTOBRE 1967

Questa cronaca è per un personaggio unico della storia dell’architettura: a due anni dalla morte, avvenuta a New York il 27 dicembre 1965, la rivista gli dedicò un commosso ricordo.
Era l’assertore della “casa senza limite”, il nemico della simmetria, l’apostolo delle cavità fluidificate, della transizione spaziale e dei gusci organici e trapassati; mite e irriducibile, candido e geniale non fece parte di nessuna scuola, riuscendo sempre a sottrarsi al fascino dell’isolamento e all’ambiguità delle mode. Volò semplicemente sopra il mondo, lambendo e influenzando tutte le arti figurative e decidendo di concentrarsi sulla madre di tutte le arti, l’architettura; riuscì nella titanica operazione di far vivere lo spazio anziché di limitarsi a guardarlo.
Scriveva: “Il futuro appartiene alla continuità, l’isolamento è abolito. Una casa non è più un singolo blocco con pareti piane, curve o a zig-zag. È composta da nuclei spaziali viventi, di ali che si protendono verso orizzonti nuovi. Siano essi vicini o lontani, essi ci appartengono, e noi ne siamo parte. La scatola quadrata è morta di soffocazione. Ha strozzato la vita all’interno. E i buchi delle finestre sono pura respirazione artificiale per il cubo agonizzante…..”.
In fondo il suo fu un modo di progettare diverso dagli altri, fondato più sulle nostre intime necessità e sui nostri processi interiori piuttosto che dettato dalle attrezzature meccaniche.
La sua “Endless House” oltre a rappresentare il filo conduttore della sua intera esistenza e il tema continuo della sua ricerca, diventerà anche quella raffinata concezione di spazio che non esisteva e che non avremmo piu’ ritrovato nella nostra storia dell’architettura.
Esortava: “Disegnate ad occhi chiusi, ascoltate ogni consiglio con un orecchio, ma tenete aperto l’altro ai sussurri della vita. Impiegate la tecnologia ma non fatevi dominare dall’industria. La casa non è una macchina per abitare ma un involucro che va riempito con l’esuberanza della vita”.
All’esile figura, quattro piedi e dieci pollici di altezza, si contrapponeva la sua immane grandezza intellettuale, capace di elevarlo a gigante nel mondo dell’architettura: Friedrich Kiesler.
Pubblicato in XXL CHRONICLES

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