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2011

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Martedì, 20 Dicembre 2011 00:00

PRESS/Tletter n.36-37-38/2011

CRONACHE E STORIA-OTTOBRE 1961

 

Un capolavoro in ogni fascicolo.

Rileggere la storica rivista di Bruno Zevi ci riserva sempre questo lusso.

Nella rivista del mese di ottobre è presentata la casa dei ragazzi ad Amsterdam opera dell’Architetto Aldo van Eyck; siamo di fronte ad un’opera di assoluto pregio che il tempo non ha scalfito in alcun modo.

Colpisce la sua impostazione planimetrica, che seppur basata su un reticolo modulare, non genera un blocco chiuso ma determina uno schema calibrato, non finito e capace di adagiarsi nel terreno non fornendo limiti.

“Parliamo continuamente di spazio e di tempo; ma nell’immaginazione che l’uomo ne ha, lo spazio diventa un luogo e il tempo, un’occasione. Come il respiro va e viene, ciclico, dall’interno all’esterno, così l’architettura dovrà configurare il rapporto ininterrotto e alternato tra l’uomo, quanto lo circonda e il tempo in cui egli cresce. Differenziare l’involucro e la vita, l’interno e l’esterno, l’architettura e l’urbanistica, sono atti arbitrari e astratti: il risultato è qualche volta assai vicino al crimine”.

Occorre aggiungere, a queste parole di Aldo van Eyck, che quest’intento d’integrazione spazio-tempo si estende anche alla storia, vista come progressiva crescita di esperienze sempre più ricche e complesse.

Il passato non va perciò né subito né rinnegato, anzi assunto continuamente come elemento del futuro; quel futuro che altro non è che il vettore di energia che da senso e creatività all’agire.

Le teorie di van Eyck trovarono una forte corrispondenza nell’opera di Amsterdam: la fluidità,

determinata dal reticolo planimetrico, tra gli spazi esterni, quali il prato, la piazza e la strada, e gli spazi interni, quali l’asse distributivo, le corti coperte e gli ambienti comuni, fu capace di determinare spazi intermedi ricchi di comunicatività e espressività.

Il progetto realizzato è più vicino al concetto di casa che a quello del nostro “convitto”; rappresenta un posto da cui i ragazzi possono uscire, andare a scuola e a trovare gli amici; la società li ha adottati, non ha pensato a dar loro una galera in compenso della sventura, ma una casa………..e che casa!

All’epoca anche in Italia si costruirono tipologie analoghe quali il Villaggio del Fanciullo a Trieste dell’architetto Marcello d’Olivo e l’istituto Marchiondi opera dell’architetto Vittoriano Viganò, e queste opere, insieme con quella di Amsterdam, furono connotate da quell’aspetto austero e duro, tipico dell’architettura brutalista.

In questi casi, meglio che per tanti altri, l’architettura brutalista riuscì a definire al meglio l’approccio ad un tema che non richiedeva sdolcinature ma una durezza tale da far comprendere la situazione sociale dei ragazzi ospitati; l’eleganza in questo caso sarebbe stata un rimedio peggiore del male riservatogli dalla vita.

Mi piace, infine, rimarcare un passo, quanto mai attuale, letto su uno scritto di van Eyck:

“Senmut fece quanto gli era stato ordinato: una casa abitabile in granito per una sola regina morta. Ciò accadde in Egitto migliaia di anni fa. Sono capaci oggi, i figli di Senmut, di fare quanto loro si richiede: luoghi abitabili per milioni di esseri che vivono? Architetti e urbanisti si sono fatti specialisti nell’arte di organizzare la miseria, fornendole l’arbitrario. E’giunto il momento di fare qualche altra cosa. Chiunque tenti di risolvere in astratto l’enigma dello spazio, costruirà dei contorni per il vuoto e li chiamerà architettura. Chiunque tenti di incontrare l’uomo in astratto, non parlerà che con il proprio eco, e dirà che è un dialogo.

Il respiro dell’uomo va e viene ancora, dal e nel suo petto.

Quando l’architettura saprà fare lo stesso????”

In questi giorni Taschen ha mandato alle stampe un sostanzioso tomo a cura di Rem Koolhaas e Hans Ulrich Obrist che ristudia il periodo del metabolismo giapponese  dal titolo “Project Japan- Metabolism Talks” e nel numero di ottobre ritroviamo il progetto che, forse, ha contraddistinto maggiormente quella stagione: il piano costruito nella baia di Tokio da Kenzo Tange.Tange teorizzò la crescita della città secondo uno schema fondato su un grande asse attrezzato in contrasto con quello che era il sistema di crescita radiale caro a molte città europee.Egli cercò di operare all’opposto di quanto si faceva: anziché progettare dei “centri” e connetterli con un sistema di comunicazioni, elaborò una struttura modulare, ampliabile, di circolazione, vi inserì i centri direzionali e li collegò a quelli residenziali.“Circolazione e architettura dovranno formare un tutt’uno integrato” scriveva Kenzo Tange.Un’asse sopraelevato di 40-50 metri composto da anelli di traffico a tre livelli con una ferrovia monorotaia; connessioni con tutti i trasporti dei quartieri esistenti; dentro gli anelli le nuove zone direzionali, fuori le nuove zone residenziali. Per controllare l’espansione, e per recuperare il mare alla città, l’asse tagliava la baia di Tokio e i nuovi quartieri erano composti da bastioni sparsi e fondati nel mare.Le idee di Tange sulla crescita organica della città furono sensazionali come lo fu il modo di affrontare il gigantesco tema urbanistico: il risultato fu giudicato avveniristico solo dall’occhio miope di una critica capace solo di guardare indietro. 

Se, nel 1961, decidevi di partecipare al concorso per un grattacielo della Peugeot a Buenos Aires, lo stesso cui partecipò l’architetto Maurizio Sacripanti inventandosi, per la prima volta, un edificio in cui la pubblicità fu assunta come elemento intrinseco della composizione, potevi vincere 13.000.000 pesos argentini ………………….pardon 2500.00 euro.

 

CRONACHE E STORIA-NOVEMBRE 1961

 

Per pubblicare una rivista di architettura bisogna fare delle scelte e, a volte, queste possono essere criticate; accadde anche alla rivista di Bruno Zevi accusata di un presunto “eclettismo”.

L’architetto affidò la sua risposta all’editoriale del mese di novembre e lo fece in maniera garbata e decisa, evidenziando le scelte redazionali e, allo stesso tempo, evitando l’apologia della rivista.

1-La Coerenza:

La rivista, anche a costo di rinunciare a molteplici collaborazioni, fu capace di escludere tutti gli apporti critici imprecisi riuscendo a combattere ogni forma di evasione e di alienazione.

Si decise che essa, anziché essere di maggioranza, doveva restare fedele alle proprie scelte senza mai cedere di fronte ai capricci architettonici; rifiutò, per questo, di accettare i “fenomeni” solo perché si manifestavano, ma cercò sempre di giudicarli.

2-La Linea Editoriale:

Bisognava cercare di non esaurirsi nel registrare solo la preziosa produzione di un’elite ma trovare spazio per promuovere e aiutare i professionisti onesti, anche se non geniali, che lavoravano in dure condizioni e lontano dai centri urbani maggiori.

Con quest’ottica la rivista riuscì a porre nel giusto rilievo il lavoro di alcuni giovani architetti quali Carlo Scarpa, Edoardo Gellner o Luigi Pellegrin.

3-La Presentazione delle opere:

Si chiedeva di essere più selettivi nella scelta delle cose da pubblicare e, una volta deciso, si chiedeva di stroncare decisamente e senza indulgenze le opere dei giovani; la scelta della rivista, invece, fu quella di favorire una lotta culturale, impostata sui problemi rilevanti, avendo il coraggio di attaccare le massime autorità politiche, quando deviavano.

Prendersela con il giovane architetto, scaricando su di lui tutte le nostre colpe e quelle della società fu un gioco frivolo e presuntuoso che la rivista mai accettò.

4-La Critica:

Il metodo critico basato sulla ricostruzione del processo ideativo e quindi sull’esperienza operativa degli architetti fu l’unico riconosciuto dalla rivista: attraverso questo sistema riuscì a pronunciare giudizi di valore netti e taglienti esaltando professionisti che oggi riconosciamo come Maestri ma che all’epoca erano quasi sconosciuti.

Quale rivista di architettura oggi (…..e sono infinite) può affermare le stesse tesi?

Quale rivista di architettura oggi può vantarsi di aver “scoperto”giovani talenti che oggi possono essere considerati maestri?

Quale rivista di architettura oggi attacca il potere difendendo l’etica dell’architettura?

E’ sicuramente più facile cavalcare l’onda del successo delle Archistar pubblicandone qualsiasi minuscolo o maiuscolo movimento, piuttosto che ricercare tra le infinite figure minori quelle il cui movimento genera solo delle lievissime increspature.

Domanda tipo The millionaire:

Quali tra questi quattro architetti può vantare maggiori pubblicazioni sulle riviste di architettura italiane?

A-Elisa Valero Ramos; B-Cebra; C-Rem Koolhaas; D-AllesWirdGut

La risposta il prossimo mese.

Altro argomento.

Nel fascicolo di novembre è presentato un piccolo negozio realizzato dallo Studio Passarelli: l’esposizione per la manifattura ceramica Pozzi in via dei Condotti a Roma.

Si tratta, a mio modo di vedere, di un’opera di assoluta originalità degna di essere ricordata.

Originariamente il negozio era composto da un budello stretto e lungo caratterizzato da portali trasversali tutti diversi; ridare omogeneità a questo tipo d’involucro era un compito molto arduo.

Gli architetti ci riuscirono grazie alla geniale idea di rivestire, con mattoni refrattari, l’intero volume costituito da pavimento, pareti laterali e soffitto, riconsegnando al locale quella completezza espressiva che non aveva originariamente. Le strombature, rese necessarie per accompagnare le strettoie dei portali esistenti, accentuavano questa continuità materica spezzata solo dalle pavimentazioni rialzate costituite da leggeri grigliati keller.

L’effetto galleggiante del pavimento, oltre a ricordare le passerelle per l’acqua alta a Venezia, accentuava il percorso espositivo delle ceramiche che erano mostrate come opere d’arte.

Di questo negozio oggi non ci restano che alcune foto pubblicate sulla rivista L’architettura cronache e storia, perché nel frattempo il negozio è stato demolito per far posto a qualche ricca casa di moda.

La storia trascorsa ci insegna che, purtroppo, i negozi storici di Roma non hanno alcun tipo di salvagente, a volte spariscono soffocati da affitti imbarazzanti, a volte cedono alle sirene economiche di speculatori senza scrupoli; chi dovrebbe tutelare lo fa solo a parole mentre pezzi di storia e piccoli capolavori cadono irrimediabilmente nel dimenticatoio.

Ricordo di aver partecipato, alcuni anni or sono, a un sit-in di protesta per impedire la demolizione del negozio Mim a Piazza Augusto Imperatore opera dell’architetto Luigi Pellegrin.

Le autorità competenti al momento sembravano intenzionate ad ascoltare istanze sulla tutela del patrimonio…..andateci ora e ritroverete alcune fulminanti dettagli del vecchio allestimento, risparmiati dal nuovo progetto, tra pizze quattro stagioni, arancini e pizzottelle……. 

E’ come quando, durante un’escursione in montagna, ritrovi su alcune rocce dei resti fossili……

Va bene così continuiamo a farci del male…….

Se, nel 1961, decidevi di andare a Boston con un volo della Pan American, in classe “Jet Economy Excursion”, prenotando prima del 31 marzo 1962 spendevi 149.00 lire………………….pardon 76,95 euro.

 

CRONACHE E STORIA-DICEMBRE 1961-GENNAIO 1962

 

Criticare un pensiero, un linguaggio o delle scelte è sempre lecito.

Farlo con convinzione e con delle valide argomentazioni è auspicabile.

A volte ci si trova di fronte a critiche superficiali, altre volte a critiche cervellotiche; il più delle volte queste critiche sollecitano solo risposte sterili e qualunquiste.

Ci sono, invece, le volte in cui la critica “pizzica il nervo” e, in quel caso, magicamente si mette in moto quel processo che rende interessante qualsiasi argomentazione.

Negli anni ’60, e soprattutto dopo la morte di Wright, molti pronunciarono il de-profundis per l’architettura organica e per le sue ricerche spaziali.

Questa critica non poteva essere accettata così serenamente dalla rivista di Bruno Zevi, che fu il primo sostenitore/scopritore/divulgatore /mentore dell’architetto Americano.

Premesso ciò, la rivista accettò di buon grado le argomentazioni poste dai detrattori ed elencò alcune considerazioni sullo stato dell’architettura.

In Italia con l’entrata in crisi del periodo razionalista non si maturò alcun passaggio a un linguaggio definito; l’edilizia spontanea, il neo-liberty e il neo-storicismo furono le manifestazioni di una malattia cancerosa la cui esatta diagnosi fu intenzionalmente ignorata.

Si assistette al dilagare d’inquietudini gratuite e ad arbitri formalistici in cui l’effetto dominante non fu l’informale ma l’informe.

Si pretese di superare il razionalismo tornando al vezzo artigianale, agli archetti e alle volte in mattoni, alla sofisticata atmosfera paesana dei nuovi quartieri residenziali e alle “citazioni” stilistiche.

Il risultato fu di tornare a un licenzioso eclettismo pre-razionalista che contrastava in maniera stridente con le concrete alternative che il mondo offriva: la ricerca di Wright e degli architetti americani, la via di Aalto e della scuola scandinava o gli urbanisti inglesi.

Questi movimenti non dettavano regole o schemi figurativi pre-costituiti, preferendo puntare sui contenuti piuttosto che sulle forme; opponevano alla tecnica pura un profondo impegno sociale e soprattutto davano risposte progressive a quelle esigenze poste dall’esaurimento del periodo razionalista.

Lo scatto in avanti era più evidente se ci soffermava a studiare le ricerche spaziali che questi movimenti generavano. Lo spazio, infatti, era considerato la sede in cui si concretizzavano e si rappresentavano i contenuti dell’architettura; rinunciarvi avrebbe compromesso il cardine principale della loro architettura.

Si può essere più o meno critici di fronte a qualsiasi linguaggio ma l’insegnamento che ci deve restare impresso come denominatore comune è quello che ci forniscono i maestri: se operiamo in architettura, non basta scegliere i contenuti bisogna anche impegnarsi per esprimerli spazialmente.

Nel 1960, a Londra, Richard Buckminster Fuller lanciò un’idea: “Coordiniamo il lavoro di tutte le scuole di architettura e di design del mondo, in vista di un comune programma di ricerca teso a migliorare le condizioni dell’umanità”.

La didattica, solitamente, risale dal particolare al generale, ma il generale raggiunge raramente la scala nazionale e soprattutto, non raggiunge mai la scala mondiale.

Anticipando, come sempre, i tempi Fuller capì che il destino dell’umanità era indivisibile e che bisognava risolvere i problemi nella loro integralità; la visione di coinvolgere le scuole di architettura, con tutto lo spassionato entusiasmo che solo uno studente può avere, nella pianificazione delle città avrebbe potuto avere risvolti interessanti sia dal punto di vista formativo che educativo.

Noi abbiamo fatto la scelta di non coinvolgerli lasciandoli “parcheggiati” in attesa di sistemazione o di future liberalizzazioni……

Nel fascicolo di gennaio è presentata la Rinascente dell’architetto Albini a Piazza Fiume.

Siamo di fronte ad un capolavoro assoluto dell’architettura italiana realizzato a Roma da un architetto Lombardo; in continuità con l’epoca barocca in cui molti architetti lombardi lasciarono il segno nella città santa, anche Albini riuscì a innestare, di fronte alle mure aureliane, un edificio elegante e rifinito.

Questo edificio rappresentò per l’epoca, il tentativo più sincero, intenso e spregiudicato di indurre in un discorso compositivo di rigorosa matrice tecnologica il segno di una precisa volontà stilistica.

Alla romanità retorica delle architetture imperiali di moda nel ventennio, Albini contrappose quella storica, colta in certi valori ambientali notati con lo scrupolo di un viaggiatore del ‘700.

I chiaroscuri, i colori, le ripartizioni, la composizione e le superfici vibranti lo mostrano ancor oggi con un sapore irreale in cui i pannelli di graniglia colorati si animano grazie alla luce che li colpisce, le strutture metalliche fanno vibrare la materia e le poche e sapienti vetrate scolpiscono la massa muraria.

Il progetto della Rianascente per Albini rappresentò una tappa fondamentale nel suo personale percorso artistico; non gli aprì nuove strade ma gli illuminò, ulteriormente, quella che stava già percorrendo contro l’approssimazione e la volgarità.

Se ce ne fosse bisogno, è utile ricordare che la sua architettura continua a essere fatalmente moderna.

Se a inizio anno decidevi di rinnovare l’abbonamento alla rivista “L’architettura cronache e storia” dovevi spendere 8.000 lire………………….pardon 4.13 euro.

Pubblicato in XXL CHRONICLES

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