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2013

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Lunedì, 25 Febbraio 2013 00:00

DOROTEA

CODE: SKT-31A

Pubblicato in XXL SKETCHES
Mercoledì, 20 Febbraio 2013 00:00

PRESS/Tletter n.48/2013

CRONACHE E STORIA – FEBBRAIO 1963

 

Un incendio doloso distrusse, nel 1958, la chiesa settecentesca di Orivesi, in Finlandia; restò in piedi solo il campanile. L’amministrazione bandì subito un concorso per definire la sua ricostruzione.

Il concorso fu vinto dagli architetti Kaija e Heikki Siren.

Precedentemente a questo incarico, i due architetti avevano costruito la cappella nel campus universitario del Politecnico di Helsinki a Otaniemi.

Quello fu un piccolo ma raffinato capolavoro, perfetta sintesi del connubio tra architettura, spazio e natura.

Oggi, quella piccola architettura, resta sbalorditivamente moderna e capace, dopo cinquanta anni dalla costruzione, di vincere, nel 2009, il premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino.

Nella chiesa di Orivesi i progettisti, invece, non avendo a disposizione i magnifici boschi di betulle, impostarono il loro lavoro in maniera molto intrinseca.

Mentre la cappella di Otaniemi si apriva verso l’esterno con la magnifica vetrata che faceva da sfondo all’altare stabilendo un rapporto con la natura molto trascendente, a Orivesi le cinque pareti curve in mattoni isolate tra di loro e unite solo da piccole finestre, racchiudevano uno spazio inondato solo da luce indiretta.

La forma lenticolare della pianta, con le cinque pareti avvolgenti, determinava uno spazio centralizzato in cui sia i fattori ottici che quelli acustici concentravano l’attenzione tutta sull’altare incastonato a ridosso di una delle pareti curve.

Questa parete era inondata da una luce naturale proveniente dalle due finestre laterali, non visibili da nessun punto dell’aula; l’effetto, che ne scaturiva, era quello di far fluttuare l’altare su uno sfondo etereo e celestiale vibrato da una luce invisibile.

All’interno dell’aula la presenza di un piano mezzanino schiacciava parzialmente la zona dell’ingresso creando una sorte di moderno nartece; dopo esser entrati e, aver superato la parte ribassata, ci s’immetteva nello spazio a doppia altezza dell’aula che appariva fluida, pulita, levitante e chiarissima.

A far vibrare ulteriormente questo spazio ci pensarono le finestre regolabili incastonate nell’intelaiatura delle travi di copertura, che immettevano all’interno dell’aula una chiarissima luce zenitale.  

Questa architettura, attraverso la magistrale composizione, ci restituisce un modo di mostrare il sacro con un senso e una misura dello spazio impareggiabile.

Il resto lo fanno il tempo, la luce e la materia di cui è composta che gli fanno assumere a pieno il valore di luogo sacro in cui è presente e attiva una comunità che vi si riconosce e che ne è responsabile.

In quegli anni la Finlandia riuscì a equilibrare la razionalità meccanica con le esigenze psicologiche individuali, trovando quella strada mediana che Alvar Aalto ribattezzò “standardizzazione elastica”.

Il buon senso finlandese fu evidenziato da quel sano pragmatismo che, alieno da qualsiasi tipo di retorica, si basava su un alto livello produttivo, di cui il mondo apprezzava la correttezza tecnologica e formale.

Ma la cosa che più il mondo apprezzava era la loro modestia evidenziata dalla rinuncia ad emanare pretenziosi messaggi universali.

Fare architettura, farla bene, e soprattutto farla per gli uomini nel rispetto della natura era e continua ad essere il loro credo.

Nel 1963 con un saggio pubblicato sul “Giornale degli Economisti” il prof. Giuseppe Di Nardi analizzava il rapporto tra patrimonio artistico e economia.

“Le opere d’arte, non contemplate fra le ricchezze misurabili col metro monetario, sono tuttavia sempre più largamente immesse nel circuito dell’economia internazionale.

L’attività artistica, quando si manifesta in opere di consistenza materiale, dà luogo ad accumulazione di beni, che formano “ricchezza” in senso economico.

Città come Roma, Venezia o Firenze costituiscono enormi accumulazioni di capitali che, sotto forme diverse e come espressione di epoche trascorse della civiltà occidentale, reggono il confronto con le accumulazioni capitalistiche delle grandi agglomerazioni di fabbriche.

Il reddito che può trarsi dal patrimonio artistico è dilatabile a seguito di una più efficace ed intensiva utilizzazione della sua fonte; allo stesso modo come il reddito ricavabile dal patrimonio industriale ed agricolo varia secondo la capacità imprenditoriale di chi lo gestisce.

Nell’epoca nostra è invalso l’uso di valutare la ricchezza dei popoli dagli indici delle loro attrezzature capitalistiche, trascurando le forme di accumulazione ereditate da fasi anteriori della nostra civiltà.

Si sottovalutano in questo modo cospicue ricchezze che, convenientemente utilizzate, possono fornire straordinari impulsi alle politiche di sviluppo.”

La tutela del patrimonio monumentale e artistico è un fatto non solo culturale ma soprattutto economico……e noi lo abbiamo capito bene………basta farsi un giro a Piazza Armerina, a Pompei, a Villa Adriana……….

Se nel 1963 compravi la Polaroid land camera, che ti permetteva di fare una foto e di stamparla in dieci secondi, spendevi 25.000 lire ……….pardon 12.91 euro……..

Pubblicato in XXL CHRONICLES
Domenica, 10 Febbraio 2013 00:00

KISHO KUROKAWA

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Pubblicato in XXL ACCESSORIES

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