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2008

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Sabato, 12 Aprile 2008 00:00

ERNESTO NOTARANTONIO FOTOGRAFO

I LOVE PHOTOGRAPHY AND I LOVE TO BE A PHOTOGRAPHER

La passione muove da sempre tutti i miei pensieri e le mie azioni, nella vita privata così come nel lavoro.

Mi sono avvicinato alla fotografia nel 2007, troppo tardi per poter dire un giorno di aver vissuto fotografando, per questo cerco di pensare, vivere, mangiare e sognare con una macchina fotografica in mano, o almeno nei paraggi…

Come fotografo mi occupo prevalentemente di Architettura, Paesaggi Urbani, Musica Live e Ritratti, alla continua ricerca di forme, luci, espressioni ed emozioni.

web: www.enphoto.it

web: www.ernestonotarantonio.com

Pubblicato in XXL FRIENDS
Giovedì, 10 Aprile 2008 00:00

PRESS/Tletter n.04-05-06/2008

CRONACHE E STORIA-APRILE 1958

 

Nel 1958 la celebre Robie House di Chicago progettata nel 1906 da Frank Lloyd Wright rischiava la demolizione; la rivista, per mano di Bruno Zevi, s’impegnava in prima persona per difendere il capolavoro delle Prairie-House.

Ci si riuscirà grazie all’intervento del famoso impresario edile di New York Zeckendorf, che, versando 125.000 dollari, acquisterà il capolavoro. L’immobiliarista s’impegnerà successivamente a donarla al National Trust che si occuperà di conservarla.

E’ insolito e da spunti di riflessione il fatto che, in America un noto impresario edile acquisti un’opera d’architettura contemporanea, per donarla alla futura memoria del paese e non per motivi speculativi.

Vengono alla mente, non allontanandosi da Roma, il Velodromo all’EUR, la casa della scherma di Luigi Moretti, la casa Ex-Gil a Trastevere e tante altre opere manomesse, abbandonate e “stuprate” in nome di speculazioni che non riescono ad essere contrastate da “filantropici immobiliaristi”alla Zeckendorf.

Perchè?

Guardando Roma dall’alto, attraverso Live Search o Google Maps, si nota che il suo sviluppo ruota intorno a questi megacentri commerciali che sorgono, in maniera equidistante, al di qua e a di la del Grande Raccordo Anulare.

Intorno a loro crescono i quartieri abitativi: è stato così per Parco Leonardo a Fiumicino, per Roma Est a Lunghezza, per Porte di Roma alla Bufalotta e sarà così per Castellaccio all’EUR.

A Roma l’urbanistica ha decretato la nascita della Città-Mall.

All’opposto, invece, nel 1918 Eliel Saarinen aveva concepito lo sviluppo di Helsinki secondo unità residenziali indipendenti.

Dopo quaranta anni la costruenda città di Tapiola risponde alla stessa concezione.

Essa rappresenta una vera città-giardino; su un terreno di 240 ha troveranno sistemazione 15.000 abitanti con una densità di circa 65 ab./ha.

Alla stesura del piano collaboreranno molti architetti quali: Aarne Ervi, Viljo Rewell, Kaija e Heikki Siren.

Tapiola sarà composta da tre unità residenziali separate dai magnifici parchi finlandesi; ogni unità avrà il suo piccolo centro civico. Tutto il complesso della città-giardino avrà un centro vero e proprio che servirà anche le comunità adiacenti per un totale di circa 40.000 abitanti.

Sorge spontanea la domanda: perché guardando le foto e i plastici della costruenda città di Tapiola proviamo sensazioni d’estasi e immaginiamo una qualità della vita molto alta mentre uscendo dal grande centro commerciale Parco Leonardo e guardiamo le case ci coglie lo sconforto?

Com’è possibile che sessanta anni dopo non riusciamo a superare ciò che i nostri padri ci hanno lasciato in eredità?

Oggi riusciamo a sostituire i vecchi centri civici composti da negozi, uffici, cinema, teatro, caffè, chiese e ristoranti, con queste cattedrali dello shopping, immense e dispersive, logoranti e affaticanti riusciamo a stipare persone in casermoni da 6.000 euro al mq. domoticamente avanzati ma qualitativamente disarmanti.

E’ dura vedere gli asili e le scuole di Tapiola cinquant’anni fa immersi nel verde e vedere morire a Fiumicino bambini in attesa dello scuolabus in una fermata che non esiste.

La nostra rincorsa verso l’intelligenza non è ancora terminata…………..

Nella rivista trovano spazio due recenti case dell’architetto danese Arne Jacobsen; diverse per forma le due case sono bellissime per qualità spaziali ed estetiche.

Fa riflettere il potenziale di queste architetture e di molte altre di questo periodo, che sembrano costruite nei giorni nostri.

Alcuni oggetti di design sono attualissimi, alcune concezioni spaziali sono interessantissime e soprattutto le ricerche morfologiche si dimostrano insuperate.

Bisognerebbe fermarsi spesso, guardarci indietro e ripartire di slancio; la storia è lì ferma in attesa di proporci nuovi stimoli, basta essere pronti per raccoglierli.

La rivista si chiude con il ricordo dell’architetto Bruno Funaro, morto a soli 46 anni, nel 1957 a New York dove, dopo la laurea a Roma, si era recato con una borsa di studi.

La sua carriera iniziata e terminata nel continente americano lo ha visto diventare professore presso la Columbia University e poi Vice-Preside.

Il ricordo della rivista avviene attraverso la presentazione di un padiglione costruito dai suoi studenti a Camp Columbia: un testamento architettonico costruito con spirito pionieristico e lasciato

in bella mostra per testimoniare la loro riconoscenza verso il maestro.

Il bellissimo risultato genera due lezioni: la prima è che gli studenti hanno imparato di più sui materiali e sulla costruzione in questa breve sessione di lavoro di quanto si potrebbe apprendere sui libri in un anno intero, la seconda è che lasciare un testamento costruito, in memoria di un architetto, fa trapelare una passione e un amore infinito.

Nel 1958 potevi comprare la macchina per scrivere Graphika della Olivetti con 168.000 lire……..pardon

86,76 euro!

 

CRONACHE E STORIA-MAGGIO 1958

 

Prima considerazione: è indetto il concorso per il nuovo Parlamento Israeliano, lo vince lo studio dell’architetto J. Klarwein. Il risultato progettuale è riassumibile con l’immagine di un mausoleo quadrato e pilastrato lungo il suo perimetro (orrendo). La Società degli Architetti e degli Ingegneri deve riconoscere la validità legale del concorso, ma non può ammettere che un libero e democratico parlamento abbia la sua sede in una “prigione” di stampo totalitario.

Premiate l’architetto, dicono, pagatelo come vuole, ma non costruite questo orrendo edificio.

Cosa succede ai giorni nostri? Viene indetto un concorso, migliaia di professionisti si cimentano con il tema proposto, si dichiara un vincitore e lo si paga.

Quale è la differenza? Nessuna. L’opera, oggetto del concorso, non viene comunque costruita, bella o brutta, fatta dall’archistar o dal piccolo professionista, progressista o di stampo totalitario.

L’architetto è tacitato dall’obolo del premio arricchendo più il curriculum che le tasche…………..

Seconda considerazione: tra breve si apre l’esposizione universale di Bruxelles 1958 e nel suo editoriale, Bruno Zevi, traccia argute osservazioni.

I non pianificati 200 Ha di terreno destinati all’area e la percentuale del 40% del costruito determinano un effetto nefasto: un’accatastarsi di padiglioni incongrui, ognuno dei quali pretende di richiamare l’attenzione del pubblico con i più banali mezzi dell’esibizionismo; nella frenesia di prevalere sul vicino, la “scala umana” va perduta e il visitatore giunge ad uno stato di saturazione e di nausea.

La psicologia dell’architetto, di fronte ad una creazione ex-novo, senza limiti e condizionamenti, atta a rappresentare un sistema o un’aspirazione civile di una nazione mostra quella che Erich Fromm chiamò: “L’angoscia di fronte alla libertà”.

Unendo le due considerazioni (e banalizzandole un pochino…….) ne esce il seguente quadro: l’architetto, quando progetta in aree definite (attraverso concorsi d’architettura) trova soluzioni vincenti e il più delle volte non le realizza; quando progetta in aree libere e senza condizionamenti (attraverso concorsi d’architettura) si angoscia per la troppo libertà, riesce a costruire le sue idee, ma il risultato è il più delle volte nefasto.

Meditazione sul costruendo padiglione italiano di Shanghai che è nato passando al setaccio (e quindi scremando) il padiglione di Toyo Ito per la serpentine gallery 2002……..

Nella rivista trova spazio la presentazione della Cassa di Risparmio di Firenze costruita dall’Architetto Giovanni Michelucci e attraverso la sua lettura è possibile sottolineare alcuni concetti del maestro toscano.

La prima è legata al concetto del “non-finito”:

gli edifici dovrebbero, già in fase di progetto, essere predisposti per futuri adattamenti. La loro trasformazione, per meglio rispondere alle esigenze degli uomini nel tempo, dovrebbe essere insita nel D.N.A. dell’edificio.

La seconda è legata alle imposizioni dell’architetto:

La immutabilità del pensiero dell’architetto genera, attraverso le sue forme immutabili, soggezione per i fruitori dell’opera architettonica. Bisognerebbe, invece, sollecitare la “libertà fantastica” degli utenti in maniera che essi possano esprimere le loro preferenze liberi da ogni “soggezione stilistica”.

La terza solleva una questione perenne:

Perché tante celebrate opere di architettura lasciano indifferente o scontento il pubblico?

E perché esiste la certezza che quanto più una costruzione moderna sembra interessare i tecnici, i critici e gli uomini di cultura tanto più sembra essere “non comprensibile” per i “non competenti”?

Bisogna non avere la presunzione che si può raggiungere da soli un risultato: tempo ci vuole ed essere in molti, intenti non a modellare il proprio arco di trionfo, ma dare un contributo alla forma della città.

Sarà necessario costruire un laboratorio, in cui si segue la genesi e lo sviluppo della città variabile, come fosse veramente un essere vivente dalla cui vita serena dipende la giustificazione del nostro lavoro e della nostra esistenza.

Le questioni sollevate dall’architetto toscano riecheggiano fino ai giorni nostri con fragrante vigore e con un’attualità disarmante………

Tra le pagine di selearchitettura troviamo la presentazione di un palazzo per appartamenti a Los Angeles opera dell’Architetto Victor Gruen; questo progetto si propone di dare tutti i conforts, a cui sono abituati i californiani nelle ville residenziali ad un piano, in un palazzo multipiano.

Il risultato che ne scaturisce è un appartamento che si svolge attorno ad un patio di mt.6 x mt.6 alto due piani, intorno al quale sono disposti i principali ambienti. La parte interessante sta nel fatto che, mentre è molto facile creare dei patii a doppia altezza negli alloggi duplex (vedi unità di abitazione a Marsiglia di Le Corbusier) è più complicato se gli appartamenti devono essere tipologicamente ad un piano.

Nel progetto l’architetto ci riesce spostando alternativamente i piani di mezzo di ogni appartamento; nella parte alta di ciascun patio si affacciano i servizi del piano superiore, dalle cui finestre a frangisole orizzontali si può mirare il paesaggio, ma non si può guardare verso il basso all’interno del patio di altra proprietà.

Questa soluzione è alquanto interessante sia dal punto di vista tipologico che spaziale e andrebbe approfondita……………

Il fascicolo si chiude con la rubrica “eredità dell’ottocento” dedicata al genio di Barcellona Antoni Gaudì; l’architetto catalano è visto, anche in un’ottica “funzionale”, concentrandosi sulle forme che non sono solo elementi decorativi, ma appartengono ad una grandiosa visione che fonde l’architettura con le arti plastiche e pittoriche.

Queste forme, tuttavia, anche spogliate della loro funzione architettonica, mantengono una grande carica di emotività e sono anticipatrici di linguaggi contemporanei.

Se nel maggio 1958 partecipavi al concorso “Ducotone” per fotografie a colori di interni moderni,con in giuria tra gli altri Ernesto Rogers, Gio Ponti, Alberto Rosselli e Bruno Munari, vincevi la somma di lire 200.000………………………pardon 103.29 euro.

 

CRONACHE E STORIA-GIUGNO 1958

 

Il fascicolo si apre con la foto del plastico della chiesa che l'architetto Giuseppe Vaccaro é in procinto di costruire nel quartiere INA CASA di Borgo Panicale a Bologna.

La sua geometria circolare generava un "cerchio mistico", sopra il quale si librava un disco di copertura a simboleggiare una sorta d’aureola dorata. In seguito questa immagine simbolica della copertura sarà sostituita da un vortice di linee isostatiche, generate dai pilastri, e tra loro intrecciate nell’intento di evocare l'infinito.

Il cambiamento della soluzione per lo sviluppo della copertura é forse imputabile all’incontro con l'ingegnere Pierluigi Nervi avvenuto durante una villeggiatura.

E' romantico immaginare una collaborazione feconda e senza gelosie tra l'architetto Vaccaro, l'ingegner Pierluigi Nervi e l'architetto Libera che si occuperà della progettazione del campanile mai costruito.

Viene in mente, con una certa curiosità, a quello che potrebbe accadere in una collaborazione per la costruzione di una chiesa tra l'architetto Gregotti, l'ingegnere- architetto Calatrava e l'architetto Fuksas per il campanile.............

L’architetto-fotografo Italo Zannier pone delle questioni sul tema della fotografia di architettura lamentando la mancanza di professionisti capaci di valorizzare la disciplina; egli distingue due categorie di persone: quelli che fotografano occasionalmente preoccupandosi solo di abbellire e ingentilire l’opera e i critici che, con il mezzo fotografico, tenteranno di materializzare i loro pensieri. I primi eseguiranno immagini magari ottime, ma poco architettoniche e per nulla critiche, i secondi presuntuosamente critiche e per nulla fotografiche.

La soluzione è nel coniugare l’uomo e l’ambiente da fotografare; il fotografo potrà dettare con immagini i vari episodi della vita nell’edificio esprimendo le azioni spazio-temporali in successive sintesi interpretative. Ne risulterà un racconto fotografico che avrà per protagonista l’edificio e in cui sarà presente l’uomo, la cui apparizione sarà dinamica e mai casuale.

Nell’epoca del “renderismo spinto”, della omologazione “photoshoppata”, delle visioni satellitari fornite da google maps, della condivisione di foto di siti come flickr e dell’importanza raggiunta dalle “immagini”, è salutare, per evitare ogni qualsiasi forma di confusione, cercare di rivalutare le immense potenzialità esprimibili con il mezzo della macchina fotografica.

Negli editoriali del giugno 1958, trova spazio l’attività del parlamento che, prima di sciogliersi, approva un disegno di legge che delega il governo a disciplinare la cessione degli alloggi di tipo popolare ed economico costruiti a carico dello Stato o con il suo contributo. Il provvedimento, per l’epoca rivoluzionario, mina la natura degli enti (INCIS, INA, IRCIS) aprendo alla speculazione privata l’unico settore che le era ancora precluso. Quello che cinquanta anni fa era il primo campanello di allarme, suona oggi nelle nostre orecchie come un concerto degli Stomp…………

All’interno del fascicolo viene presentata la casa di abitazione costruita a Chiavari (Genova) dagli architetti Marco Dasso e Benedetto Resio; la costruzione a gradoni, si appoggia sulle colline, inserendosi nell’ambiente in maniera felice e risolvendo il difficile tema della casa a schiera perpendicolare ad un pendio.

La sua qualità sta nell’equilibrato gioco dei volumi e del chiaroscuro,nei diversi materiali e colori,

nella sua disposizione in accordo con il terreno e la natura e nella qualità degli spazi interni.

In sintesi questo progetto rappresenta una buona architettura realizzata senza larghi mezzi economici; la cura del dettaglio, la saggezza d’impiego dei materiali e una impostazione seria di lavoro conducono, sempre, a un’espressione significativa.

Aggiungete che, questo edificio deve molto al palazzo degli Uffici Comunali costruito sulla collina genovese dal grande Architetto Franco Albini, e il mix è completo.

Sfogliando la rivista troviamo la presentazione delle opere recenti dell’Architetto Ralph Erskine.

L’architetto, di nascita e di educazione britannica, ha impersonato nel dopoguerra la corrente svedese di critica al razionalismo che ebbe il nome di “nuovo empirismo”.

Con il distacco intellettuale di uno straniero seppe rivelare agli svedesi la loro inibita inclinazione romantica.

Nella rivista sono presentate alcune opere tra le quali la villa a Storviks Hammarby,

un organismo compatto che riflette il clima svedese, l’albergo per sciatori a Borgafiäll, una scultura paesaggistica in armonia con il profilo montano e le spirali delle forme nevose tornite dal vento e la villa a Skövde, vero capolavoro per la sua fluidità spaziale.

Essa è costituita da pareti perimetrali continue capaci di racchiudere le varie attività della casa e al tempo stesso di aprirle verso il giardino, in un unicum spaziale fortemente caratterizzato.

Il fascicolo si chiude con la presentazione delle case che due architetti tedeschi hanno costruito per se stessi: Ernst May ad Amburgo e Wassili Luckhardt a Berlino.

Due diversi modi di essere fedeli a se stessi.

Se il processo morale di Ernst May commuove, la fede di Wassili Luckhardt incute rispetto; l’architettura tedesca innalza, ancora una volta le antiche bandiere della meditazione profonda e quella dell’ordine sociale.

Malgrado la tormenta quando i vecchi maestri lavorano la tradizione non muore mai……

Per l’anno solare 1957 è stata autorizzata la concessione a favore del comune di Roma di un contributo, a titolo di concorso dello Stato negli oneri finanziari che il comune sostiene in dipendenza delle esigenze cui deve provvedere quale sede della capitale della Repubblica,

di 4 miliardi di lire……………….pardon di 2.065.827,59 euro!

                  

Pubblicato in XXL CHRONICLES

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