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2012

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Domenica, 20 Maggio 2012 00:00

SOLCO

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Pubblicato in XXL SKETCHES
Domenica, 20 Maggio 2012 00:00

PRESS/Tletter n.41-42/2012

CRONACHE E STORIA-APRILE 1962

 

Ai giovani studenti e neolaureati che iniziavano la loro carriera subito dopo la seconda guerra mondiale, Alvar Aalto apparve come la figura più interessante sull’orizzonte europeo.

L’approccio creativo di Aalto consisteva essenzialmente nel graduale abbandono della prismatica elementare cubista e del sistema miesiano di decomposizione dei volumi in lastre attraverso il tentativo di creare stereometrie continue, unitarie e talvolta massicce.

Considerò le cavità interne come il principale punto di applicazione dell’impegno architettonico e come il movente fondamentale dell’ispirazione costruttiva e fu capace di usare ingegnosamente i materiali naturali e il colore per ravvivare il biancore ormai scontato dello scatolone cubistico.

Ad Aalto guardavano, con pari curiosità, anche gli architetti già formati, sia quelli fermi sulla teoretica razionalista che quelli che avevano optato per un rinnovamento in senso organico.

Nel fascicolo di aprile l’architetto Luciano Rubino cercò di analizzare l’opera del maestro cercando di soffermarsi su alcuni nodi insoluti della sua produzione architettonica; come avviene solitamente la critica, di fronte ai maestri, si mostra troppo encomiastica dimenticando le parti meno riuscite.

Nella sua tesi l’autore delineò due Aalto: l’abile professionista e il geniale spirito creativo.

Quello capace di progettare il Padiglione Finlandese all’Esposizione di New York, i Dormitori del M.I.T. a Cambridge, il Kulttuuritalo di Helsinki e la Chiesa di Imatra era l’Aalto organico, quello che tendeva ad un’architettura basata su un’idea spaziale, reintegrava i volumi, dissolveva gli ordini strutturali e le proporzioni tra pieni e vuoti.

L’altro, quello capace di progettare opere quali, il Sanatorio di Paimio, la villa Mairea e il palazzo Comunale di Saynatsalo, era l’abile professionista, architettonicamente corretto, qualitativamente anche eccelso ma privo di quello scatto creativo capace di tramutare la buona architettura in capolavoro assoluto.

Questa bipolarità accompagnò Aalto per tutta la sua vita e le sue due anime combinandosi, rincorrendosi e sovrapponendosi continuarono a fertilizzare la sua ispirazione.

Come tutti i maestri, anche Aalto, non alimentò una scuola; i giovani seguaci, tra la l’Aalto geniale e quello professionista furono costretti ad imitare quest’ultimo essendo impossibile da raggiungere il livello qualitativo del genio.

Sul processo costruttivo:

“Devesi, avanti che a fabricar si cominci, diligentemente considerare ciascuna parte della pianta, et impiedi della fabrica che si ha da fare. Tre cose in ciascuna fabrica (come dice Vitruvio) deono considerarsi, senza le quali niuno edificio meriterà esser lodato; et queste sono, l’utile, ò commodità, la perpetuità, et la bellezza: perciochè non si potrebbe chiamare perfetta quell’opera, che utile fusse, ma per poco tempo; overo, che per molto nun fosse commoda; overo c’havendo amendue queste niuna gratia poi in se contenesse.

La commodità si havrà, quando a ciascun membro sarà dato luogo atto, non minore che la dignità si riecheggia ne maggiore che l’uso si ricerchi.

Alla perpetuità si havrà risquardo, quando tutti i muri saranno dritti a piombo, più grossi nella parte di sotto e tutti i fori, come usci e finestre, saranno uno sopra l’altro.

La bellezza risulterà dalla bella forma, e dalla corrispondenza del tutto alle parti, delle parti fra loro e di quelle al tutto.

Considerate queste cose, si deve fare diligentemente il conto di tutta la spesa che vi può andare e fare a tempo provisione del denaro; bisognerà apparecchiar la materia, acciocche edificando non manchi alcuna cosa che impedisca il compimento dell’opera.

Eletti i più periti artefici che si possano havere, acciochè ottimamente l’opera sia drizzata secondo il loro consiglio.

Ma perché oltra la quantità, si deve ancho haver considerazione dalla qualità e bontà della materia, ad eleggere la migliore ci gioverà molto la esperienza pigliata dalle fabbriche fatte da gli altri; perché da quelli avisati potremo facilmente determinare ciò che a’ bisogni nostri sia acconcio et espediente.”

Questo brano, tratto dai “4 Libri” di Andrea Palladio, dimostra quanto era semplice quel processo costruttivo che oggi beghe, burocrazia, clientelismi e corruzione rendono una meteora…….

Nel 1961 Lewis Mumford ricevette dal RIBA di Londra la Royal Golden medal for the promotion of Architecture e chiuse il suo discorso in questa maniera:

“Questa architettura del futuro conseguirà razionalità senza sterilità, vitalità senza disordine, personalità senza capriccio. Perciò, abbiate fede. I compiti che ci attendono non sono facili; la rotta è ardua e il trionfo insicuro; ma anche la sconfitta, qui, nella causa della vita, è preferibile alle troppo facili vie del successo di moda. E dunque abbiate fede. La razza umana si comporta sempre meglio quando le probabilità sono contro di lei; e se non ci pieghiamo né ci ritiriamo, può darsi che la vita ci sorprenda, una volta ancora”.

Se nel 1962 decidevi di partecipare al concorso Luxaflex per l’utilizzo di elementi costruttivi in alluminio verniciato, trovavi una giuria composta da Bruno Zevi, Carlo Cocchia, Vittorio Chiaia, Alberto Rosselli e Lodovico Barbiano di Belgiojoso, e rischiavi di vincere un premio di  1.000.000 lire……….pardon 516,45 euro.

 

CRONACHE E STORIA - MAGGIO 1962

 

Aveva fin da subito offerto prova delle sue qualità attraverso le prime opere architettoniche e nel progetto presentato nel fascicolo di maggio, una casa di appartamenti a Roma costruita con lo studio di Mario Ingrami, confermò la sua impegnata ricerca organica così lontana dai velleitari formalismi dell’epoca.

Stiamo parlando dell’Architetto Luigi Pellegrin e del suo particolarissimo linguaggio teso a liberarsi contemporaneamente dell’eredità statica europea e dal rischio della decalcomania wrightiana.

Il villino rappresentava uno dei migliori esempi di architettura residenziale costruiti a Roma nel dopoguerra; un esempio di contestazione della realtà e al tempo stesso di contestazione della consuetudine edilizia esistente e del costume culturale e clientelare in uso.

A Roma il tema della palazzina compatta era attualissimo; nel periodo della ricostruzione questa tipologia offrì a un gran numero di architetti la possibilità di esprimersi.

Pochi riuscirono a sfruttare quest’occasione e fu così che il panorama delle palazzine romane restò costellato da parecchie soluzioni anonime.

Pellegrin, per natura riottoso ad allinearsi a quello che facevano gli altri, contestò immediatamente questo modo di interpretare il tema.

Liberandosi da questo tipo di volumetrie, organizzò il suo organismo attraverso una pianta a “L”,

aperta in ogni suo fronte, dinamica nella sequenza volumetrica, avveniristica nell’impostazione planimetrica e soprattutto originalissima.

Per fare un paragone musicale veder crescere la palazzina in quel contesto provocò lo stesso stupore di veder suonare Peter Gabriel a Sanremo qualche anno più tardi.

Detto questo va constatato che seppur partendo da medesimi budget, da stessi regolamenti edilizi e da stesse committenze, Pellegrin (insieme a pochi altri), riuscì a dimostrare che era possibile percorrere una nuova via rispetto quella classica.

Il suo seme, purtroppo, non ha attecchito nell’arido terreno romano restando confinato solo in alcune memorabili realizzazioni.

Non ha fatto scuola e ancora oggi non riesco a darmi una logica spiegazione….

Vale la pena però, tornare ad affrontare alcune peculiarità dell’opera:

1-le volumetrie delle palazzine romane erano solitamente organismi caratterizzati da un prospetto principale e tre prospetti secondari, solitamente anonimi; la palazzina di Pellegrin, invece, con il suo impianto a “L” era capace di generare una serie di prospetti principali ognuno con una definita espressività.

Per quanto possibile, vista le difficoltà tecno-burocratiche del tema, riuscì ad attuare una sorta di decomposizione della scatola che ancora oggi mostra il suo fascino.

2-la rigidità espressiva delle volumetrie compatte imponeva solitamente delle scelte decorative che potevano riassumersi nella tripartizione basamento-edificio-coronamento; nella palazzina pellegriniana la presenza di un susseguirsi di elementi fisici quali aggetti, balconi e logge generavano un movimento che raramente rispondeva a regole definite.

Non sottostare a nessuna regola compositiva rappresentò la regola per esprimere nuove tesi.

3-le finestre delle palazzine romane erano fori ordinati più per compiacere l’aspetto decorativo della facciata che per reali necessità funzionali; in Pellegrin, invece, la finestra ritorna ad assumere l’importanza che merita, sempre di forme diverse, calibrate per ogni singola stanza, mai allineate e sempre pronte a stabilire un dialogo tra spazio interno e spazio esterno.

4-la circolazione interna nelle palazzine classiche è imperniata su una distribuzione a batteria impostata su un corridoio d’ingresso; nella palazzina di Pellegrin troviamo, invece, una doppia circolazione continua esterno-interno resa possibile da corridoi ridotti e da ampi terrazzi, logge e soggiorni.

Guardando oggi le foto della palazzina si possono cogliere infiniti scorci prospettici di una qualità spaziale superba.

Concludiamo la trattazione con questa domanda: si era troppo spinto troppo in avanti Pellegrin o erano rimasti molto indietro gli altri?

Delle due l’una ma facendo un giro nelle nostre periferie si arriva presto alla soluzione….

Con il fascicolo di maggio cominciò la pubblicazione dell’intera serie di schizzi di Mendelsohn; immagini che partono dalle celebri visioni apocalittiche fermate su pezzetti di carta in trincea, durante la prima guerra mondiale, ai progetti del periodo espressionista e degli anni berlinesi,

a quelli dell’emigrazione in Inghilterra e in Palestina fino agli ultimi tracciati prima della morte avvenuta nel 1953.

Il valore didattico di queste visioni architettoniche è immenso; splendidamente autonome nel loro gesto espressivo, sollecitano, pungolano e, sopratutto inducono a pensare.

Tra di loro sono proposte le questioni fondamentali dell’architettura: la relazione tra edificio e paesaggio, l’organicità volumetrica, il fondersi dell’impianto spaziale col guscio che lo contiene, la carica emotiva alternativamente compressa o esplicitata.

Ammirare ancora questi schizzi ci trasmette una voglia di architettura che non ritroviamo facilmente nei pur magnifici disegni o render foto-realistici che descrivono le architetture oggi.

Se nel 1962 decidevi di partecipare al Premio Olivetti, con un tema caro al compianto Adriano, potevi vincere 2.000.000 di lire……….pardon 1.032,91 euro…….

Pubblicato in XXL CHRONICLES
Giovedì, 10 Maggio 2012 00:00

NUOVA PIAZZA CANTALUPO

PROGETTO: SISTEMAZIONE PIAZZA
ID: PZZ CNT 05M12 XXL 48
TIPOLOGIA: INCARICO
COMMITTENTE: PUBBLICO
LUOGO: CANTALUPO - ROMA
COLLABORAZIONI: ARCHITETTO SIMONA ABBRO
SUPERFICIE:  5000 MQ.
PROGETTAZIONE: 2012
ESECUZIONE: -----------------
WEB CATEGORIES: XXL ARCHITECTURES
TESTO: Un piccolo intervento capillare per migliorare la fruibilità della piazza e renderla pedonale. Aree dedicate ai dehors, salottini urbani, fontane e piazze rialzate di ingresso connoteranno la futura sistemazione.

Pubblicato in XXL ARCHITECTURE

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XXL Architetture è stato fondato nel settembre
del 2003 ed attualmente ne fanno parte
gli architetti Germano Franciosi (1976)
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