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2009

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Venerdì, 26 Giugno 2009 00:00

PRESS/Tletter n.15-16-17/2009

CRONACHE E STORIA-MAGGIO 1959

 

E’ il primo numero della rivista senza la figura guida di Frank Lloyd Wright che muore nel mese di aprile dell’anno1959.

Il ricordo fu struggente:

“Dalle 12.45 di giovedì 9 aprile, il campo è aperto alla filologia. Forse non vale più occuparsi di architettura - non nello stesso modo.

Annaspiamo in un vuoto della coscienza che egli, solo, riempiva.

Era riuscito dove noi fallivamo e costituiva un rimprovero costante, Intollerabile per alcuni, grave per tutti. Ma finché resisteva nella sua inaudita tensione, l’architettura era riscattata dalla noia, dalle convenzioni, dalle viltà.

Potevamo lavorare: il nostro contributo modesto era valido perché alimentato dall’eco di un genio divenuto, per vocazione e volere il massimo architetto della storia.

La sua morte era inconcepibile, ché il tempo in lui non consumava e le sue opere sconfiggevano le leggi del declino e della stanchezza.

Realtà folgoranti e sublimi, persino mostruose, per la loro classe sovrumana rivestita del dono della naturalezza di chi ha lungo atteso.

L'aveva detto ai membri dell'American Institute of Architects quando gli consegnarono una medaglia d’oro: “ non per i progetti, non per gli edifici, non per le ricerche tecniche, non per altri titoli: sento di meritare questo premio solo perché per mesi ed anni, restai serenamente ad aspettare un lavoro”.

I suoi trionfi, oltre trecento incarnazioni edilizie, erano segnati da questa lenta fatica morale.

Il suo coraggio discendeva da un’autoeducazione alla solitudine e all’intransigenza; la sua arte era messaggio di libertà, stimolo e rappresentazione di vita democratica poiché aveva distinto la nozione di “personalità” da quella di “individualità”, il curioso dal bello.

Ed ora, dal 9 aprile spento il proscenio della sua testimonianza, inizia in platea una commedia vacua e assurda. 

Infranta la matrice spirituale e civile, l’architettura continua senza persuasione e speranza.

Il Maestro e’ scomparso.

Per chi lo amò infinitamente, la recita delle commemorazioni non serve- nemmeno il pianto e il silenzio”.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ma la vita della rivista continua e continua con gli uffici per le industrie Mazzucchelli a Castiglione Olona dell’Architetto Annibale Fiocchi.

Si tratta di una corretta architettura razionale impreziosita dalla ricerca sull’uso dei materiali plastici per rivestimenti esterni. Per la prima volta fu sperimentato su vasta scala l’impiego del rivestimento esterno in cloruro di polivinile: il pannello stampato sotto vuoto, con un processo simile a quello usato per ricavare le pareti interne dei comuni frigoriferi, consentì di ottenere un effetto chiaroscurale e riuscì a compensare le dilatazioni termiche conferendo, al tempo stesso, una notevole solidità al paramento esterno.

All’interno della rivista, forse casualmente o forse per saggia scelta redazionale, trovò spazio la presentazione del magnifico negozio Olivetti, in piazza San Marco a Venezia, di Carlo Scarpa.

Carlo Scarpa sintetizzò, insieme a pochi altri tra cui l’architetto Luigi Pellegrin e l’architetto Marcello D’Olivo, il credo del maestro Frank Lloyd Wright, riuscendo a tracciare, attraverso opere memorabili, un percorso, sicuramente meno corposo, ma assolutamente illuminante.

Il negozio di Piazza San Marco, che si snoda attraverso l’invenzione della splendida scala con i gradini che sembrano sospesi, è il frutto della creazione, paziente e meticolosa, dell’incontentabile inventore.

Tra le infinite e sapienti soluzioni adottate, tipiche delle architetture di Carlo Scarpa, mi piace ricordare l’aspetto cromatico che va dal bianco antico dei soffitti, al delicato rosagrigio delle pareti, dal bianconoce, dal nero e dal rosso del pavimento, ai bruni di tanti legni raffinati con le macchie lucide dei bronzi e degli ottoni, dall'oro e dall'azzurro, sparso qua e là con rara sobrietà, al verde delle piante.

L'estrema minuziosa attenzione con cui egli lavorò gli diede la fama ben nota di incontentabile, e di intrattabile (forse), ma quando il suo lavoro terminava, sempre troppo tardi per gli altri e sempre troppo presto per lui, ogni elemento dell'opera, anche il più piccolo andava a posto comunicando una calma, una precisione, un’elevazione che sfociava in una definizione di spiritualità, in cui tutta la materia veniva trasfigurata e nobilitata al massimo.

Il rispetto del proprio lavoro e della funzione cui esso è destinata rappresenterà la più grande lezione che ci tramanderà l’opera di Carlo Scarpa.

Se nel 1959 ti compravi la mitica macchina da scrivere Olivetti Lettera 22, modello LL, spendevi 42.000 lire + I.G.E.………………………………………………pardon 21,69 euro + I.V.A…….

 

CRONACHE E STORIA-GIUGNO-LUGLIO-AGOSTO-SETTEMBRE 1959

 

Cronache di una lunga estate senza la presS/Tletter……..e siccome la rivista non ha avuto pause, la mia ri-lettura estiva non ha avuto il suo naturale sfogo……..cercherò con questa di ritrovare il giusto equilibrio.

Nell’editoriale Bruno Zevi affronta il tema, ancor oggi attuale, degli alibi in architettura: “In odio al formalismo eclettico e agli atteggiamenti artistoidi gli architetti hanno rifiutato un’organica cultura figurativa, in spregio agli “stili” accademici hanno deriso la grammatica e la sintassi; così mutilati, si sono rifugiati nei balbettii di una “sensibilità” immotivata, in un crepuscolarismo romantico incomunicabile e confinante con l’indifferenza, oppure hanno approntato alibi. I due più insistenti e fatui sono oggi il tecnologismo e lo strutturalismo.”.

L’architettura nasce da un’idea, se volete con l’invenzione di una funzione umana e del modo di rappresentarla, e si conclude nella modanatura; la mano dell’architetto si riscontra nel particolare, ma solo quando esso riflette, prolunga e decifra la concezione dell’opera. Aggrapparsi solo alla tecnologia è sinonimo di insicurezza dimostrando, altresì, di non aver fede nella propria ricerca spaziale e volumetrica.

Discorso analogo è quello legato allo strutturalismo: l’ingegneria ottocentesca conquistò la rivendicazione espressiva delle strutture che, affrancandosi dai fronzoli decorativi, riportavano in luce i nuovi organismi funzionali. La struttura era un mezzo non il fine dell’operazione culturale.

L’architettura moderna è nata sul principio che l’invenzione dell’organismo edilizio determina la sua espressione senza “virtuosismi tecnologici” e “esibizionismo strutturale”.

Nelle pagine della rivista trova spazio la presentazione dell’opera dell’architetto Mario Fiorentino; subito dopo la guerra la sua personalità venne alla ribalta grazie al concorso vinto (……..e fortunatamente realizzato) del monumento ai Martiri delle Fosse Ardeatine insieme ai colleghi Aprile, Calcaprina, Cardelli e Perugini, con l’apporto degli scultori Coccia e Basaldella.

Il monumento, sublime capolavoro per intensità espressiva, rappresenterà la miccia per far detonare la carica accumulata negli anni di inattività forzata causata dalla guerra.

La collaborazione con l’Architetto Mario Ridolfi, per la stesura del Manuale dell’Architetto, gli permetterà oltre a, formare quell’indissolubile legame tra conoscenza tecnologica e disciplina del progettare, di realizzare quel piccolo capolavoro della sopraelevazione del villino in Via Paisiello a Roma. Successivamente si dedicherà ad una serie di esperienze urbanistiche tra le quali quella di San Basilio a Roma e il quartiere di risanamento dei Sassi di Matera.

Queste commesse, che arrivarono all’architetto da quel committente senza volto che è lo Stato,

lo responsabilizzarono molto e gli fecero sviluppare la convinzione che era necessario dare un volto umano e confortevole a queste case popolari.

Nelle opere successive, e specialmente nelle case di Viale Etiopia, l’architetto riuscirà a dare prova di sicurezza formale e padronanza tecnologica affermando una maestria e un senso professionale degni di quegli architetti “fin de siécle” schivi ma molto solidi.

A poca distanza dalla morte del genio di Frank Lloyd Wright, rimbalza da Tokio la notizia della possibile demolizione dell’albergo imperiale. La causa, a detta dei proprietari, è derivata dal confronto con strutture simili che occupano meno spazio, hanno più camere e non richiedono la stessa quantità di inservienti.

La speculazione, purtroppo, fa strage di tutto ciò che non è economicamente sostenibile, ma la redazione, da parte dell’Unesco, di una lista di “monumenti moderni” eviterebbe, ogni volta, di spiegare all’assassino di turno che gli inconvenienti denunciati dal proprietario dell’Imperial hotel si verificano anche a palazzo Farnese e che il personale di servizio necessario per pulire San Pietro è del tutto sproporzionato al numero dei vani della basilica……..eppure tutto il mondo può ancora apprezzarne le qualità.

Vengono presentate alcune opere dello studio di architettura olandese Bakema e Van Der Broek;

il segreto della loro architettura è nella capacità di essere vicino agli uomini, di non distaccarsi dalle esigenze e di avere fiducia nella forza indistruttibile del progresso.

La casa, la strada, la chiesa, la scuola rappresentano funzioni nettamente diverse; l’unità è data loro dall’uomo che le usa tutte e non tutte insieme ma bensì una dopo l’altra in un discorso fluido, focalizzato e coerente.

Occorre isolare l’essenza delle cose: da una parte l’uomo e le sue necessità, dall’altra le comodità e tutto ciò che serve a facilitare l’estrinsecazione di nuove possibilità vitali.

Questo rappresenta il metro della poetica delle architetture di Bakema e Van Der Broek, perché ripercorrendo ogni problema meccanico e collettivo attraverso il metro umano, ogni elemento architettonico viene ridimensionato secondo un “tempo” adeguato al suo uso sociale e spirituale.

Nella rivista trova spazio l’opera elegante dell’Architetto Edoardo Gellner: professionista molto serio e, nonostante le ultime pubblicazioni e retrospettive, non ancora del tutto rivalutato.

Il villaggio E.N.I. a Corte di Cadore rappresenta, a mio avviso, uno dei più riusciti esempi di cittadina-modello dell’architettura italiana dal dopo guerra ad oggi: l’inserimento nella valle di forme architettoniche in cui prevalgono le linee orizzontali, i volumi bassi e allungati disposti normalmente rispetto alla pendenza del terreno e la sapiente ricerca di spazi e volumi perfettamente integrati, determinano un magnifico organismo in cui emerge la splendida chiesa, fatta a due mani con l’architetto Carlo Scarpa, e la tipologia delle case, tanto semplici quanto ancor oggi attuali.

Sono talmente attuali che oggi, dopo cinquant’anni, con una leggera ristrutturazione, che non ha cambiato l’impostazione e la sostanza, sono tornate sul mercato andando a ruba.

Ora mi sorge una domanda: perché per soddisfare il fabbisogno di case, dovuto al sisma del 6 aprile a L’Aquila, non si è attuato questo tipo soluzione????

Case perfettamente inserite nell’ambiente, economicamente competitive, architettonicamente dense e tipologicamente varie, tali da consentire un immediato uso e un altrettanto sicuro ri-uso.

Purtroppo si è preferito il fai da te con le innumerevoli case in legno che stanno sorgendo in tutti i giardini, senza nessun criterio e difficilmente riusabili se non come deposito attrezzi.

Era fin troppo facile attingere alle soluzioni ampliamente verificate che si è preferito sperimentare nuove vie……. per la felicità dei produttori di case in legno sparsi in tutt’Italia (che tra le altro le importano dalla Romania…..) e degli speculatori……….

Se nel 1959 ti compravi un frigorifero Zoppas “fuoriserie”, da 225 litri, spendevi 120.000 lire + I.G.E e daz.………………………………………………pardon 61,97 euro + I.V.A…….

Pubblicato in XXL CHRONICLES

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