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2013

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Domenica, 30 Giugno 2013 00:00

ISIDORA

CODE: SKT-32A

Pubblicato in XXL SKETCHES
Giovedì, 20 Giugno 2013 00:00

FLP-43

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Pubblicato in XXL FLIPPER
Lunedì, 10 Giugno 2013 00:00

PRESS/Tletter n.51-52/2013

CRONACHE E STORIA – MAGGIO 1963

L’Architetto Renato Severino aveva presentato, nel 1959, la sua idea per un’unità di abitazione, studiando una piastra orizzontale di dimensione 176 mt x 140 mt che, poggiandosi su tre grossi pilastri di 25 mt., contenenti gli impianti tecnici e le scale di accesso, liberava tutto il piano terra,

creando una continuità spaziale e fluida tra paesaggio e costruito.

Nel 1963 l’architetto ebbe l’occasione di mettere in pratica le sue idee vincendo il concorso per la colonia-scuola dell’Italsider a Cesana Torinese.

Severino ebbe il merito di intendere subito che per far aderire l’acciaio, scelto come materiale architettonico dalla committenza, a questo tema, occorreva valorizzarlo, più che nasconderne le caratteristiche, esaltandolo nella stessa impostazione.

Il suo progetto, realizzato in un magnifico scenario alpino, rifiutò ogni compromesso romantico e vernacolare, puntando su un blocco unitario, vasto, compatto, strutturalmente e tecnologicamente aggiornato: ne scaturì una piastra traforata a tre strati in cui la componente orizzontale esaltava il profilo delle alpi che lo circondavano.

“Molti architetti parlano -rilevava Severino – di ricerca e gruppi di ricerca, credendo di pervenire a risultati positivi, per via scientifica, esaminando settorialmente le generatrici dell’architettura. Dobbiamo invece adottare una ricerca, per via compositiva, tesa anzitutto a trovare i mezzi attivi, esprimibili volumetricamente e costruttivamente, pur considerando tutti quei fattori sociologici ed economici, che sono attualmente i moventi dell’architettura.

L’architettura degli ultimi decenni è andata sempre più perdendo la magia degli spazi interni, dei volumi architettati, tipici delle realizzazioni pre-ottocentesche. Oggi gli edifici sono “contenitori di funzioni: molti rimangono abbacinati dalla tecnica per il messaggio di “verità” cui credono di potersi finalmente ancorare; altri sono soltanto sopraffatti dal suo preciso e multiforme meccanismo.

Ma quel che occorre è, dominando la tecnica in ogni dettaglio, servirsene, non servirla”.

La finalità della lezione di Severino fu evidente: pervenire a una proposta che aveva un suo fondamento di vitalità generale, non isolata, non aristocratica, bensì saldamente ancorata a funzioni collettive di primaria importanza sia produttive, sia sociologiche sia culturali.

Su questo piano la colonia è senz’altro un esempio riuscito di sana e feconda architettura.

Oggi, dopo la ristrutturazione per le Olimpiadi invernali a Torino, la struttura è stata trasformata in albergo e su TripAdvisor è possibile leggere le recensioni più disparate di chi, non conoscendone la storia, lo confonde con un albergo di recente costruzione realizzato per l’evento del 2006 o chi si meraviglie delle grandi stanze, un tempo dedicate a contenere le camerate per i ragazzi della colonia.

Divagazioni.

Ieri sera, mentre vedevo il film “Bianco e nero” di Cristina Comencini, notavo che alcune scene erano girate in una location molto bella.

Alcuni dettagli colpivano la mia curiosità: le eleganti pareti in mattoni sabbiati a faccia vista, le grandi vetrate della zona living che si aprivano sul giardino, l’enorme camino centrale in ferro sospeso dall’alto, gli arredi modernisti, la scala aerea e, più in generale, un’articolazione planimetrica racchiusa in un grande volume inclinato.

Non ne conoscevo l’autore.

Oggi rileggendo il fascicolo di maggio 1963, nel più classico dei déjà vu, rivedo pubblicate le immagini di quella casa; noto che le foto (in bianco e nero….) di cinquant’anni fa rappresentano fedelmente quello che ho visto nel film: stessi mobili, stesso camino, stessa scala….nulla era cambiato, tutto aveva lo stesso sapore.

Per i curiosi come me, che rivedendo il film si chiederanno ”ma dove è girato quel film?” fornisco le coordinate: casa bifamiliare all’EUR opera dell’Ingegner Guido Gigli.

Paralleli.

Tra le pagine finale della rivista troviamo una selezione delle ultime opere di Bruce Goff, il più dotato dei wrightiani e alcuni schizzi di Erich Mendelsohn il più virtuoso tra gli espressionisti.

Goff scelse di non seguire un'istruzione accademica, ascoltando anche il parere di Frank Lloyd Wright con il quale prima collaborò e poi rifiutò il posto offertogli come assistente capo nel suo studio (secondo le parole di Goff stesso) per non dover scegliere se considerare Wright un genio che non sbagliava mai o un despota, un tiranno che rubava vita e idee ai suoi assistenti.
Goff riprese da Wright il concetto di architettura organica risultante da un sistema non convenzionale di composizione spaziale, senza un inizio e una fine specifica, senza le tipiche gerarchie spaziali. Una composizione che può essere compresa solo nel tempo e mai con un unico sguardo; un'architettura flessibile in considerazione delle esigenze di chi lo abiterà.

Per Mendelsohn, invece, i suoi disegni “non erano che appunti, contorni di visioni subitanee, benché nella loro natura di edifici, essi apparivano quali entità. Era per Lui di somma importanza fissare queste visioni sulla carta, così come gli balenavano nella mente, poiché ogni nuova creatura portava con sé il germe del suo potenziale sviluppo, e diveniva un essere umano seguendo un processo di evoluzione”.

Gli edifici finiti di Goff si avvicinano di più ai progetti originari che quelli di Erich Mendelsohn ai relativi schizzi. Viceversa, i disegni su carta assomigliano di più agli edifici costruiti da Goff piuttosto che quelli di Mendelsohn.

Apparentemente, Goff pensava le sue piante di getto; e questo è quello che dà alle sue costruzioni un senso d’immediatezza, come la spontaneità del parlato.

Se nel 1963 compravi il nuovo serramento apribile a ribalta oppure a battente, brevettato in Italia e all’estero dalla ditta serramenti Giorgi S.p.A., entravi in possesso di un’invenzione che oggi ci sembra banale ma che all’epoca era geniale; per avere il meccanismo dovevi spendere 2.200 lire ……….pardon 1,14 euro……..

 

#PRESSTLETTER#CRONACHE E STORIA – GIUGNO 1963

Lo scenario della comunicazione degli anni ‘60.

“Nel 1963 si poteva affermare che la “tecnologia moderna aveva condotto alla democratizzazione della cultura in senso strumentale”; il consumo di un determinato oggetto culturale, da parte delle grandi masse, era possibile grazie alla moltiplicazione effettuata tramite replica, duplicato o fac-simile.

Al tempo di Beethoven era necessario un pubblico che ascoltava e una sala che conteneva l’orchestra: l’evento era singolare, speciale e non si poteva replicare.

Oggi, nel 1963, il godimento di un brano di Beethoven, può essere e, di fatto, è di solito individuale, isolato e quanto più moltiplicato.

Questo ha allargato il bacino di ascolto, a volte numeroso solo statisticamente, e ha alterato il valore culturale della forma, esaltandola o umiliandola; manipolando, infatti, le forme in vista di una distribuzione di massa il produttore inevitabilmente le modifica: sia per pura venalità sia per motivi più nobili. Comunque si tratta di un processo estraneo ai requisiti estetici della forma e pertanto nocivo alla sua integrità artistica.

La tecnologia ci pone di fronte ad un dilemma: da una parte è la base irreversibile per l’abbondanza e la prosperità materiale ed economica, dall’altra, con la produzione standardizzata di massa, svuota di significato il prototipo. Nessuno, che sia interessato al benessere dell’umanità può proporre il ritorno alla condizione preindustriale, ma nessuno, che sia interessato alle potenzialità emotive e intellettuali dell’uomo, può restare indifferente al declino del gusto collettivo.”

Oggi la comunicazione viaggia a una velocità tale che questi concetti ci sembrano arcaici: la connessione istantanea globale ci porta al superamento di quelle tesi; non parliamo più del dualismo prototipo-oggetto in serie perché le creazioni odierne hanno la possibilità di girare in rete così velocemente che tutto ci sembra superato un minuto dopo averlo visto. 

Pubblicato in XXL CHRONICLES

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