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2008

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Domenica, 20 Luglio 2008 00:00

PRESS/Tletter n.07-08-09/2008

CRONACHE E STORIA-LUGLIO-AGOSTO 1958

 

Cronache di una notte di mezza estate…………..

“Dobbiamo guardarci col cannocchiale alla rovescia, col distacco e la mentalità di cittadini del mondo, in modo da poter valutare comparativamente l’apporto italiano alla cultura architettonica italiana”.

Con queste parole P.L. Nervi ha aperto il primo convegno Indetto dalla Sezione Italiana dell’U.I.A. di cui è presidente; “vogliamo democratizzare l'Unione Internazionale degli Architetti nel senso di impegnare tutti i colleghi all'azione di diffusione della cultura architettonica italiana all'estero”.

A distanza di cinquant’anni, al Congresso Internazionale dell’U.I.A.,che si è svolto a Torino a fine giugno, si sono cercati gli effetti della diffusione dell’architettura italiana……………invano!

Nel fascicolo troviamo la rubrica “lettre de paris” scritta da Ionel Schein e avente come oggetto il profilo dell’architetto Georges Candilis.

Candilis, di padre greco e madre russa, studia in Grecia e dopo la laurea si trasferisce a Parigi, dove collaborerà con Le Corbusier al progetto della costruenda unità di abitazione di Marsiglia.

Dal 1950 aprirà il proprio studio e si dedicherà alla costruzione di complessi abitativi sperimentali sia in Europa che in Africa e Medio Oriente.

Viene presentato l’ultimo progetto dell’architetto Richard Neutra, la villa De Schulthess costruita a Cuba in una delle più piacevoli zone residenziali dell’Avana.

La casa tenta un difficile colloquio con la natura. Si vuol dare, dice Neutra, l'impressione che l'edificio cresca strutturalmente dal suolo, e insieme riaffermare la presenza rigorosa dell'uomo e della sua tecnologia.

Abbiamo, forse, una direzione nuova nell'arte di Neutra: quella di pronunciare con un tono più caldo la sua irriducibile parola razionalista; a ciò dobbiamo probabilmente anche la sorprendente cooperazione con Roberto Burle Marx, che ha curato il giardino dalle sinuose vasche e dai ricurvi sentieri.

La rivista, attraverso la presentazione dell’architetto Luigi Pellegrin, intende dare il giusto riconoscimento a un professionista da troppo tempo dimenticato: Ermes Midena.

Ermes Midena è nato a San Daniele del Friuli nel 1895. Ha studiato all’ Accademia di Belle Arti a Venezia, poi si è stabilito a Udine dove ha lavorato presso lo studio dell' architetto Provino Valle.

Midena non partecipa al Movimento Italiano per l'Architettura Razionale (M.I.A.R.) ma, proprio nel momento in cui esso viene messo al bando ne accoglie gli indirizzi: nei due progetti per la casa del balilla di Tarvisio e per la casa dell’Aviatore per la Triennale milanese del 1933; dopo il purismo oudiano e il razionalismo tedesco l’architetto è attratto dal costruttivismo che sperimenterà in alcun opere particolarmente riuscite.

Passerà un ventennio, dal 1937 al 1957, in cui Midena pur restando attivo non registra opere di particolare rilievo.

Questo periodo coinciderà con il tempo delle revisioni culturali, del passaggio dal razionalismo all'organico, dalla meditazione sugli apporti americani e scandinavi alle correnti neo-empiriche di tutta Europa.

La sua architettura resterà una pagina di “letteratura edilizia” più che di arte edilizia, ma sarà a  questo tipo di  letteratura che sarà affidata le sorte dell’architettura moderna.

Una sorprendente villa in Australia dell’architetto Peter Muller colpisce per la sua modernità: incastrata in un terreno roccioso e boschivo trova la sua forma non tanto nei volumi quanto nella disposizione dei tetti che si intersecano e si sovrappongono drammaticamente; gli ambienti sottostanti, qualificati e «compressi» dall'insistenza cinematica delle coperture, seguono il principio della pianta libera esprimendosi, all'esterno e all'interno, con brevi setti parietali e involucri liberi e mai con scatole chiuse.

Nella rubrica sui quartieri e le unita di abitazione I.N.A.-Casa, che la rivista mensilmente dedica a quei progetti che hanno contribuito alla rinascita delle città nel dopoguerra, troviamo la presentazione del Complesso residenziale a Galatina in provincia di Lecce, a cura degli architetti Ciro Cicconcelli (capogruppo), Franco Antonelli, Angelo Cecchini, Luigi Pellegrin e Mario Roggero.

Il progetto,creato da professionisti inclini alla matrice architettonica organica, si discosta da progetti analoghi costruiti in quel periodo.

La disposizione delle case a 45 gradi rispetto alla strada, lo sviluppo a due piani, i volumi ritagliati, le pareti piene e gli spigoli aguzzi compongono una prospettiva nuova, originalmente articolata e sorprendente.

Il valore architettonico di questo progetto è senza dubbio rilevante; ma è il valore culturale, inteso come superamento dell’interpretazione dell'edilizia quale fatto meramente economico, che determina una visione più vicina alla concretezza della vita e più aderente alle complesse esigenze dell’uomo.

Nell’estate del 1958 se sottoscrivevi l’abbonamento alla più importante rivista mensile inglese di architettura “The architectural review” per 12 numeri pagavi 5550 lire……………………………………………….. ……….pardon 2.86 euro.

p.s. potevi ritirare i numeri della rivista anche nella libreria internazionale DEDALO che all’epoca era in Via Barberini,57-77-telefono 48.05.45.

E’ amaro ricordare la storica libreria DEDALO,che io come molti colleghi,ho frequentato nella sede di Via Rossini, nel quartiere Parioli.

Quanto tempo hanno passato in quel piano seminterrato gli architetti di Roma e non………..

Quante volte abbiamo chiesto consiglio alla Sg.ra Fabrizia, la memoria storica della libreria……

Quanto vorremo riavere una libreria di architettura………….

 

CRONACHE E STORIA-SETTEMBRE 1958

 

David J. Jacob è un architetto americano che vive a Detroit, ha 29 anni, si è laureato nell'Accademia d’Arte di Cranbrook. Nel 1958 vinse la borsa di studio per l’Accademia Americana a Roma e scoprì l’architettura minore di Ischia, di Capri e Roma.

La sua sorprendente architettura si basa su alcuni principi:

$11)      Bisogna eliminare la distinzione tra pareti e soffitto raggiungendo una struttura unica.

$12)      La tecnica contemporanea ci permette di riprendere antichi motivi spaziali con mezzi nuovi.

$13)      La terra deve tornare ad essere uno strumento costruttivo.

$14)      Bisogna modellare il pavimento in modo che costituisca un invaso.

$15)      Bisogna modellare le pareti sottraendo materia.

Le foto del plastico, a supporto di queste idee, mostrano una soluzione fantastica, una sorta di moderna “grotta” libera nelle sue forme architettoniche e accattivante nelle sue qualità spaziali.

Nel 1958 il comitato di consulenza della Biennale di Venezia stabiliva che, nel nuovo statuto dell'ente, dovevano essere incluse anche le mostre di architettura……….. da allora di strada ne è stata fatta ma è interessante sottolineare come la rivista di Bruno Zevi sia stata in prima linea nel richiedere, reiteratamente, l’approvazione del provvedimento……………chissà dove sarebbero andati le migliaia di architetti e non, che dal 15 settembre fino al 15 novembre, si recheranno nella città lagunare………

Il numero di settembre della rivista è incentrato sulla presentazione delle nuove opere del compianto architetto friulano Marcello D’Olivo: Villa Mainardis, Villa Spezzotti e il caffè Pancotto.

La Villa Mainardis sorge a Lignano Pineta, addossata alla duna ed aperta verso il mare.

È a pianta circolare con piano rialzato a livello della duna situata a nord.

Lo sviluppo della casa avviene attorno alla scala che oltre a rappresentare il fulcro delle dinamiche spaziali, rappresenta un elemento sapientemente costruito su cui gravita l'intera struttura circolare. Si snoda in modo agile e dinamico dentro uno spazio lievemente  statico; è  una casa tutta raccolta, come un guscio, come una sfera.

Il caffè Pancotto si affaccIa sulla piazza grande di Latisana con  la pensilina che viene avanti nel senso della strada laterale. Come struttura, esso rIsulta dall'incastro di due parallelepipedi disposti l'uno sull'altro a blocchi, con una netta sfalsatura su un lato e longitudinalmente.

L'impostazione delle forme è di una semplicità estrema; a confronto della Villa Mainardis, il caffè di Latisana sembra riflettere una visione più placata;  in realtà, si tratta sempre dello stesso discorso, ugualmente aggressivo: “verrà un giorno-diceva D'Olivo- che riuscirò a fare un corpo, una città completa, dove tutto sarà espresso, manifestato”.

La terza opera presentata, villa Spezzotti, può ritenersi un monumento dell' architettura organica.

In essa D'Olivo non ha articolato una pianta, ha articolato uno spazio; il vento ha modellato il cemento, lo ha fermato, lo ha costretto, ha curvato, lo ha dispiegato. Scompare la planimetria, scompaiono i dettagli, gli accessori, resta solo l'immagine, solida, assoluta, come quella di una fortezza normanna, come quella della grande muraglia. Il lato creativo di questa architettura è tutto nella visione primaria che essa riesce ad esprimere senza altre mediazioni che la sua stessa forza.  E’ tutto nella sua facoltà anticipatrice.

L’architetto D’Olivo, nei ritagli di tempo, dipingeva e si occupava di matematica: la pittura gli serviva sul piano sperimentale, la matematica gli permetteva di crearsi di volta in volta una base sicura per la codifica dello spazio.

Resta il ricordo di un uomo fatto per creare una condizione felice intorno a se; guardando i suoi progetti o avvicinandosi alle case da lui costruite, si avverte subito questo tratto, si capisce in che modo la società gli sta a cuore.

Vengono presentate delle recenti realizzazioni milanesi dello studio degli architetti Attilio Mariani e Carlo Perogalli.

Le loro case riflettono un “modo” espressivo e un gusto costante fondato su una chiarezza planimetrica, sullo sfalsamento delle aperture a piani alterni e su un accorto uso di colori complementari e contrastanti.

Questa ricerca è apparsa all'inizio un semplice dispositivo diretto a creare una più fresca impaginazione parietale; ora, dopo vari anni di esperienza costruttiva, si può affermare che rientra in una organica sensibilità architettonica.

Lo sfalsamento delle finestre, che oggi caratterizza molte composizioni architettoniche, era, cinquant’anni fa, ingrediente di elasticità e permetteva di differenziare e di qualificare un'edilizia troppe volte stereotipata.

In quegli anni si aggiudicava il Concorso Nazionale per il teatro all' aperto di Pescara; il teatro, precisava il bando, “vuol essere degno monumento a Gabriele D’Annunzio” e destinato ad opere drammatiche e liriche, in particolare a quelle dannunziane.

La  votazione proclamava vincente il progetto degli arch. Mariano Pallottini, Antonio Cataldi Madonna e Filippo Mariucci, ma era il progetto di Francesco Palpacelli e Sergio Musmeci a meritare la palma del migliore.

Il teatro era costituito da un cono rovesciato del diametro massimo di m. 76 su base d'appoggio di m. 8x12. La struttura era in c.a. formata da due serie di parabole incrociate.

Il basamento era costituito da un tronco di cono, formato da 12 setti radiali in c.a. su piastra anulare in calcestruzzo. All’interno erano ricavati magazzini, sale prove e amministrazione.

Sopra, e all’aperto, era disposto Il palcoscenico con scena girevole e spazi laterali per cori, balletti e scenografie più ampie.

Il progetto dell’architetto recentemente scomparso insieme al genio strutturista del ponte sul Basento si dovette accontentare di un rimborso spese di lire 125.000 …………………………………………………………

….pardon di euro 64,55.

 

CRONACHE E STORIA-OTTOBRE 1958

 

Da una segnalazione al direttore Bruno Zevi si scopriva la figura di Giacomo Bernè un architetto friuliano autodidatta e con delle ambiziose illuminazioni.

C'era un clima strano per l'architettura in Friuli e il caso più strambo era quello, ignoto fuori della regione, di Giacomo Bernè (1887-1949).

Specializzato in radiologia, lasciò presto la medicina per impiantare una fabbrica di apparecchi ortopedici a Milano; fece il vetrinista e si dedicò genialmente alla pubblicità.

Dopo la guerra, nel 1942, ,tornò in Friuli dove esplose il suo pallino architettonico. Costruì nel suo giardino una “cappella votiva”, poi fece un modello (ad un quarto del vero) di una nuova fabbrica a impianto circolare su enormi pilotis e con torri alternate e infine cominciò a costruire una villa in cui plasmò il cemento come creta.

La sua personalità oscillava tra la follia e il genio ineducato ma fatto sta che in questi posti e in quel periodo furono visti Marcello D’Olivo e Carlo Scarpa. A meditare……………..

Nel 1958, a 72 anni, Ludwig Mies van der Robe decise di ritirarsi dall'insegnamento per dedicare più tempo all'attività professionale. La sua didattica fu eccezionalmente rigorosa e dura: innumerevoli rilievi, infiniti e snervanti dettagli costruttivi, l'oppressione di qualunque tentativo da parte degli studenti di evadere dalla linea stabilita dal maestro.

Con esso non cesserà il manierismo miesiano ma col tempo perderà vitalità e sicurezza.

In questo numero viene presentato il palazzo degli uffici E.N.I. a San Donato Milanese su progetto di Marcello Nizzoli e Mario Oliveri.

Il progetto era impostato geometricamente sull'esagono scelto come elemento capace di raccogliere intorno ad un centro le unità ambientali; ad esso si associavano il gruppo di poliedri, che caratterizzano il resto del complesso architettonico; compendio di questa composizione era la torre quale naturale richiamo alla verticalità richiesta dalla pianura milanese.

Nell’ottobre del 1958 chiudeva i battenti l’esposizione universale di Bruxelles e con essa la rivista traeva le conclusioni sul linguaggio moderno rappresentato dai vari padiglioni.

Dei tre padiglioni principali che insistevano sulla piazza centrale sintetizzò i seguenti giudizi:

del padiglione degli Stati Uniti d’America di Edward Stone salvava l’ampia porzione di terreno antistante la grande rotonda capace, con una piazza festosa, di decongestionare i flussi degli utenti dell’expò, del padiglione dell’U.R.S.S. degli architetti Boretski, Abramov, Doubov e Polansk ne stroncava la concezione orripilante e deprimente figlia di un residuo manierismo ottocentesco mentre di quello francese dell’architetto Guillaume Gillet pur apprezzando la copertura, composta da due paraboloidi iperbolici, sottolineava la mancanza di continuità tra involucro e contenuto.

Continuando il girovagare all’interno della expò ci si imbatteva nel padiglione della Spagna,che sebbene all’epoca era sottoposta al regime dittatoriale di Franco, riuscì nella costruzione di un involucro composto da esagoni planimetricamente interessante, anche se dal punto di vista spaziale risultava troppo compatto e tedioso.

Il PadigIione della Norvegia, dell' architetto Sverre Fehn, risultava incantevole. Il fascino della struttura norvegese  derivava dall’accoppiamento degli alti travi doppi di legno laminato con le colonne centrali, a forma di croce,in plexiglas: il peso della copertura contrastava con la trasparenza dei supporti con effetti insieme sorprendenti e raffinati.

La palma di miglior padiglione dell’esposizione spettava a quello della Finlandia dell’Architetto Reima Pietilä: al seghettato impianto planimetrico rispondeva una analoga modellazione altimetrica, sicché il ligneo edificio quasi elasticamente scendeva e saliva, avanzava e arretrava, impegnando l'ambiente esterno con una presenza suggerita più che imposta.

Altri padiglioni che meritavano una citazione erano senza dubbio quello della Philips ideato dal genio di Le Corbusier e quello, simbolo dell’esposizione, rappresentato dall’Atomium degli architetti A. e J.Polak.

Il padiglione italiano degli architetti: Ludovico Belgioioso, Adolfo De Carlo, Ignazio Gardella, Enrico Peressutti, Giuseppe Perugini, Ludovico Quadroni e Ernesto N. Rogers suscitò commenti contrastanti che dovettero fare un distinguo netto tra il valore degli Autori e quello dell’opera.

La concezione generale del padiglione scaturì da una volontà polemica contro lo strutturalismo formalistico imperante; si cercò di continuare nell’essenzialità della tradizione italica, con una liricità ma senza esagitazione, con carattere ma senza esibizionismo, con modernità e senza ossequio alle mode ma il risultato fu però molto deludente.

Per dirla con le parole di Maria Luisa Astaldi “ i bravissimi architetti che lo hanno pensato erano di certo distratti in quel momento, o a corto di mezzi e d'idee, e non mi sembra credibile che essi abbiano inteso dare con quelle costruzioni l’idea di un villaggio nostrano; come possono, i nostri villaggi, essere evocati da queste baracche lisce e anodine, decisamente troppo somiglianti ai magazzini per il ricovero degli attrezzi?”

Nel 1958 potevi comprare il Dizionario architettonico illustrato di Tommaso Gnone edito dalla Società Editrice Internazionale di Torino, uno strumento di cui, ad un certo punto e con una certa felicità, potevi dire di non avere più bisogno……..costava comunque 1.600 lire………………………………..pardon 0.82 euro!

Pubblicato in XXL CHRONICLES
Giovedì, 10 Luglio 2008 00:00

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